Ecco la storia di cui parlavo, una storia dolce che racconta di una bimba che nel passaggio del rubicone soffre, dubita e, infine ritrova se stessa, la speranza e la fede... della sua coscienza e del suo amore per la sua famiglia. Una storia esemplare per lo Spirito del Natale! Buon Natale e buona fiducia a tutti!
Papà Natale
Vento
e vento di fuori; vento freddo che porta con sé un po’ di profumo,
ma leggerissimo, di terre lontane che, mentre qui tutto si dissecca e
si addormenta per l’inverno, espirando verde, fioriscono sotto
l’appello della primavera. L’aria turbina attorno alla casa
chiusa che apre sulla nera notte di dicembre le sue finestre
illuminate: sembra che il vento voglia portarla via, ma la casa tiene
bene il suo posto.
Non
è ancora Natale, il Bambino non è ancora nato. Ma si aspetta il
Natale, papà Natale, il Vecchio che è gioioso nel suo declino
perché sa che fra le nevi germina la creatura nuova; il vecchio
bonario che ama i bambini e viene loro messaggero dell’intima
felicità che li illuminerà a Natale, quando il figlio di Dio nasce
per ogni uomo che vive sulla terra. Si aspetta Papà Natale e la casa
è in subbuglio. Non si può andare dove si vuole. Certe stanze vanno
lasciate tranquille perché il Santo vecchio possa venire
indisturbato. “Non si deve andare nella sala da pranzo!” ha detto
la mamma che ha un misterioso colloquio con Papà Natale, già da un
po’ di tempo, e sa quando e come verrà e in qual modo bisogna
parlare e agire con lui.
Il
fratellino più piccolo ha un po’ paura: se ne sta quieto e
silenzioso nel suo seggiolino stringendo le manine come fa la sera
quando dice con la mamma il Padre Nostro.
I
due di mezzo sono irrequieti: essi hanno già del vecchio Natale un
ricordo, perché è stato così buono l’anno passato, ha portato
tale belle cose a loro, proprio quelle che desideravano di più. Sì,
lo sanno. Ci sarà un momento, quando si accenderanno i lumi
dell’albero e si spegneranno tutti gli altri, quando ad un tratto
si aprirà una porta, proprio quella che non ci si aspetta di veder
aprire… sanno che allora sentiranno il cuore battere forte … e …
chi sarà più buono di cantare bene la canzoncina che la mamma ha
insegnato? Mah! Si vedrà. Però Tonino e Pia sono agitati e non
sanno stare fermi. Sono contenti, ma di una contentezza un po’
turbata: e, nello sforzo di essere più buoni che mai, bisticciano e
si rimbeccano sottovoce. Tonino vorrebbe che Pia non parlasse tanto e
fosse più quieta. Pia vorrebbe che Tonino parlasse per far passare
il tempo più presto e per distrarsi un po’ dalla commozione che
viene, nonostante tutto, viene, viene man mano che si aspetta.
Ma
c’è Elsa, la maggiore che non si vede. Dov’è? È in corridoio,
al buio, da sola. Ha un male di dentro e non può fare a meno di
pensare a tutto quello che le hanno detto le compagne: che non è
vera la storia di papà Natale, che è roba da bambini piccoli, che
papà Natale è il babbo che lo fa, che è una vergogna che lei Elsa
ci creda ancora; tutte cose che l’hanno fatta proprio soffrire.
Tutto l’anno ha resistito; ma ora che deve venire, ora che forse
fra poco lo vedrà, ha un dubbio terribile e non può attendere
felice; e vorrebbe sapere. La mattina aveva parlato un poco con la
mamma davanti ai fratellini. E la mamma l’aveva guardata con uno
sguardo severo:
"Senti,
Elsa, se tu non credi a papà Natale è meglio che tu oggi vada a
passeggio da sola; se no, sciupi la festa a tutti. Papà Natale
viene per chi ha fede!"
Elsa
si era sentita misera e buia come quelle candeline che si spengono
sull’albero prima del tempo, chi da perché, e fanno un buco nero
in tanta luce, e spandono un cattivo odore. Ma aveva subito deciso di
non uscire sola come aveva detto la mamma, ma di restare in casa con
gli altri e … vedere.
Sarebbe
stata zitta coi fratellini che non potevano capire il suo cruccio, ma
sarebbe stata lì anche lei, al suo posto. Però in quell’oretta di
attesa, non poteva stare con gli altri; temeva che il cattivo umore
trasparisse e che non voleva più vedere sul volto della mamma
quell’occhiata triste e piena di rimprovero. Ma la mamma, la mamma
credeva anche lei a Papà Natale? …E il babbo? … Oh! Ma dov’era
il babbo? Quest’ultimo pensiero l’assorbì tanto che, per un
momento, non pensò ad altro: non era al lavoro perché era domenica,
e, se era in casa, perché il suo soprabito e il cappello non erano
lì in corridoio al solito attaccapanni? … Oh! Che scoperta! Come
non se ne era accorta prima?
Un
grande caldo salì alla faccia di Elsa; certo: aveva vergogna di
essere lì davanti all’attaccapanni e di aver scoperto una cosa che
certamente non si doveva sapere e non si doveva guardare. Ma il fatto
restava e l’agitava: il babbo era in casa e invece di mettere
mantello e cappello al solito posto, se li era portati nella sua
camera da letto: perché? Perché? Una seconda volta il sangue corse
alle guance di Elsa. Anche questo “perché” era indiscreto e
curioso, un po’ come una profanazione… ma ormai il demonio della
curiosità era entrato nello spiraglio che la poca fede di Elsa gli
aveva aperto, e la faceva da padrone e non permetteva più ad Elsa di
stare tranquilla se non dopo che avesse saputo il perché dei perché.
Ed Elsa, rossa e vergognosa come se, sapendolo, stesse per commettere
una colpa, si avviò verso la sala da pranzo, dove non si doveva
entrare. Non era la prima volta certo che disubbidiva alla mamma; ma
era la prima volta che lo faceva, non per dimenticanza o
disattenzione, ma perché proprio voleva farlo. Camminava piano in
punta di piedi nel corridoio e si sentiva infelice come non era mai
stata; ma la decisione presa era più forte di lei.
Arrivata
alla porta ben chiusa qualcosa la fermò di botto e le impedì di
aprire. E se, veramente, si fosse incontrata con Papà Natale che
doveva arrivare da un momento all’altro? Con quale sguardo
l’avrebbe guardata? E avrebbe magari in un lampo sentito tutto
quello che lei pensava e sentiva!
Il
gran caldo che prima aveva alla faccia ora improvvisamente discese al
cuore, e vi sentì dentro un pentimento forte e dolce insieme. Il
cuore batteva tanto forte che Elsa si guardò attorno perché se la
mamma fosse passata passata di lì certo l’avrebbe sentito. M il
corridoio era buio e solitario e la mamma non c’era; anzi, tendendo
l’orecchio si sentiva la sua voce venire dalla camera del babbo,
che era vicina alla sala da pranzo.
Parlava
molto sottovoce con qualcuno, ma il “qualcuno” rispondeva ancora
più sottovoce, anzi non rispondeva quasi niente. Forse si spiegava
con cenni del capo… o Dio! Era il babbo o papà Natale? Un momento
in cui Elsa non sentì più niente attorno a sé. Rapidamente la sua
mano aveva aperto la porta e prima ancora di aver formulato un
pensiero si era trovata sulla soglia, con la testa dentro e la
persona nel vano della porta, nascosta dall’uscio socchiuso. Sul
primo istante non vide nulla, soltanto si meravigliò che, pur
essendo tutto spento e vuoto, vi fosse abbastanza luce; poi si
accorse che l’uscio che dava alla stanza da pranzo era semiaperto.
Ne ebbe una sensazione di conforto; non era più così sola in quelle
stanze silenziose col suo tormento, il suo dubbio e la sua
tentazione.
Una
vocina di dentro, come prima, l’avvertì che bastava, aveva già
visto molto, che poteva andar di là, e tutto le sarebbe stato
perdonato. Ma qualche cosa in lei ribattè immediatamente: “Ora che
il più è fatto voglio vedere tutto e starò qui fino a quando il
babbo…”.
In
quel momento si vide la mano della mamma aprire bene tutta la porta
da cui entrava la luce affinché la grande figura curva, carica del
sacco e con in mano un verde ramo di abete potesse comodamente
passare.
-
Hai tutto? – sussurrò la mamma.
-
Credo – rispose la voce strana di sotto il cappuccio appuntito.
-
Allora va a bussare all’altra porta ed io ti vengo ad aprire. Puoi
fare da solo?-
-
Credo – ripetè ancora più piano, quasi commossa, la voce. La
mamma scomparve e si spense la luce della camera accanto.
Un
attimo ancora Elsa rimase ancora sulla porta, al buio, guardando
fissa al di là; ma quell’attimo le parve un secolo. Il suo cuore
non batteva più: aveva l’impressione che non potesse più
riprendere il suo ritmo: ma ora Elsa rimaneva coraggiosamente. La
colpa era commessa, ci voleva l’espiazione. Essa tacitamente la
domandava, e stava lì per soffrire ancora un po’ guardando il suo
papà così camuffato, carico, curvo e tremante. Sì: lo vedeva
tremare in quei pochi passi che fece per attraversare la stanza fino
all’uscio del salotto. Era proprio il suo babbo ma non sembrava più
lui; e non per il vestito diverso; pareva che il peso di un mondo lo
curvasse e un vento lo scuotesse tutto, togliendosi ogni pesantezza
ed ogni equilibrio.
Lo
vide allungare la mano per tastare il sacco che aveva sulle spalle e
allora parve ad Elsa che lo sguardo di lui si incrociasse col suo…
ma perché non la riconosceva? Gli occhi tranquilli la sorvolarono
nella semioscurità guardando oltre, lontano, chissà dove. E ancora
si udì nella stanza silenziosa la voce dire piano a se stessa come
una risposta:
-Credo!
Tutto
questo in un batter d’occhio, durante il quale la mamma, spente
tutte le luci, si avviò rapidamente al salotto.
-
Ora si accende l’albero – e le parole risuonarono nella casa come
una squilla di liberazione.
Allora
Elsa, improvvisamente, presa da un’agitazione gioiosa, chiuse anche
lei con un colpo secco la porta che teneva socchiusa: “Ecco, così
tutti si saranno accorti che ho visto”, pensò; ma nel suo gesto
c’era più un desiderio di chiarezza, una conclusione piena di
vittoria della sua avventura, che non cocciutaggine. Ed ebbe proprio
l’impressione di aver annientato con un colpo secco anche il nemico
che l’aveva tentata. Sicuro; le avevano insinuato che se lei avesse
saputo non avrebbe più creduto; invece ora sapeva e credeva, ancora
più di prima.
Era
una grande vittoria; e quando, poco dopo, la sua voce si unì a
quella dei bambini cantando Alleluia la mamma si voltò a guardarla.
Essa sostenne lo sguardo coraggiosamente e si sentì felice di poter
collaborare con i genitori a questa festa di fede dei bimbi; questo
scambio di sguardi fu come una calda stretta di mano fra due creature
amiche che d’ora innanzi cominceranno a lavorare insieme in un modo
nuovo. Alleluia! Alleluia!
Irene Cattaneo
Aspettando il natale, ogni anno, si riconosce la nostra essenza divina e la stessa appartenenza celeste! Buona festa