Il cielo si riempie quotidianamente di cirri e
nuvoloni di ogni sorta, il vento fresco arriva inaspettato e si rabbrividisce
nell’impudente e coraggioso infradito…
È comunque estate, al di là delle temperature, al di là della più
o meno estesa nudità, al di là delle piogge torrenziali è comunque estate.
Porta con sé una certa leggerezza, una saporita piacevolezza
dello stare, in piccoli riposi, dolci intrattenimenti, gioiose adunanze
mangerecce, sonore letture…
Sì proprio la stagione del leggere futile, romanzi piacevoli o
impegnati che ti trasportano nella vita di qualcun altro e ti suggestioni e
patisci e gioisci e assapori e palpiti e piangi insieme ai protagonisti delle
varie storie…
L’ultimo libro che ho letto (passato dalla cara amica Alessandra)
si intitola: “E l’eco rispose” di Khaled Hosseini.
Mi è piaciuto, ha catturato velocemente il mio interesse e l’ho
letto in poche serate sebbene avesse in sé delle caratteristiche che poco amo
nei romanzi.
La storia non si articola in modo cronologico e sequenziale ma
attua dei salti temporali notevoli (avanti e indietro nel tempo), si sposta
dalla narrazione di un personaggio ad un altro sconosciuto completamente
decontestualizzato dal precedente a parte una condivisione di appartenenza all’Afganistan
(di nascita o elettiva).
Quindi in ogni capitolo si ha un salto notevole, un nuovo inizio,
una nuova necessità di inoltrarsi nelle vicende ed innamorarsi del
protagonista. Devo dire che nonostante io odi questo tipo di narrazione, l’autore
è riuscito a tenere desta la mia attenzione. La scrittura è fluida, appassionata
e sufficientemente animica. Infatti il tratto che attraversa il libro che più
mi è piaciuto è quello della biografia umana, della costituzione dell’identità
di sé attraverso i luoghi e le relazioni, la combinazione e gli intrecci di
vissuti che concepiscono karma condivisi e legami profondi.
Mi ha un po’ infastidito che ogni biografia toccata abbia in sé una
tragicità estrema, una lacerazione affettiva senza possibilità vera di
riassorbimento. Ogni personaggio narrato, descritto e raccontato ha in sé un
profondo dolore animico. Dolore che solo parzialmente è ascrivibile alla
situazione tragica del paese dove sono narrate le vite.
In realtà mi sembra un pensiero molto più antropologico legato
all’uomo, il dolore e la perdita come stato naturale dell’essere umano. E questo
non mi appartiene, ho un profondo pensiero di bellezza, amore e speranza della
vita: credo fortissimamente che ognuno di noi ha la vera possibilità di
inseguire, perseguire, realizzare la propria felicità interiore nella coscienza
di esistere.
Brevemente riporto le vicende: tutto inizia dalla separazione di
una sorella e un fratello che hanno un legame molto profondo (dato dalla
perdita prematura della madre al parto della sorellina). Questo tragico inizio
conduce il lettore nell’incrociare le vite di tutti coloro che a titolo diverso
hanno avuto a che fare con questi due protagonisti. Man mano vengono delineate
biografie (disperate) di persone diverse (per estrazione e sogno nel cassetto),
pennellati contesti economici culturali di ogni tipo (grande e devastante
povertà insieme a sfrenata ricchezza).
Tutto si articola in un lungo lasso di tempo che raccoglie almeno
tre generazioni, la memoria che si perpetua o si spezza in numerosi simboli (la
malattia del fratello, la pozione che fa dimenticare, l’oblio dato dalla
giovane età, le piume che ritornano…)
Ripeto un bel romanzo, mi è piaciuto come si sono intrecciate le
biografie… solo questa nota sul sapore un po’ acre, un po’ lacerante, un po’ troppo
nel dolore… sì la vita è tutto questo ma per me l’eco risponde molto più
spesso, più profondamente e allegramente di quanto si sia potuto ritrovare nel
romanzo.
Lo consiglio come lettura, veloce, archetipica, storica,
culturale….
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