Sono qui, in una delle
innumerevoli attese di queste giornate, un po’ annoiata, un po’ galleggiante e
non voglio esimermi dal continuare il discorso di ieri sui “contenitori”.
Per
due ragioni: da una parte accetto il piccolo sollecito della cara amica Claudia
che, vedendomi parlare degli immensi contenuti delle borse delle donne, ha
buttato lì un accenno empatico anche sulle vetture, e poi, stamani, una delle nostre automobili ci ha bellamente
che abbandonati.
Una di quelle normali mattinate in cui, dopo esserci preparati
tutti, dopo aver pensato a tutti gli animali di casa dopo aver preparato il
bagaglio della giornata, dopo aver verificato il contenuto sospetto delle
tasche delle mie figlie, dopo aver rubacchiato qualche tiro di sigaretta, stavo
giusto per sedermi in auto, quando squilla il telefono. Già immaginavo che
fosse Cristian (alle 7 del mattino chiunque altro è molesto), ho subito pensato
che avesse dimenticato a casa qualcosa e pensavo già alle maledette quattro
rampe di scale da fare e all’inevitabile ritardo che avrei collezionato.
E
invece no, peggio, la sua macchina dopo la fermata dal benzinaio non ha voluto
saperne di ripartire.
Sob! – Ti raggiungo – è stata la mia consolatoria e stringata
risposta.
In dieci minuti eravamo da lui, nel breve tragitto ho riprogrammato
mentalmente la giornata con il nuovo imprevisto, vagliando le possibili
varianti e soluzioni. Lo abbiamo raccattato dal benzinaio, la scelta è stata
semplice, visto che mi aspettava una giornata lunga, noiosa e abbastanza
sedentaria, mi sono fatta accompagnare nel luogo di lavoro (in anticipo a
questo punto, essendomi evitata l’accompagnamento a scuola delle mie figlie
all’altro capo della città). Passerò qui (prigioniera senza macchina) tutto il
giorno.
Stasera (spero dopo aver trovato delle soluzioni di recupero
dell’infedele mezzo meccanico), mi verranno a riprendere. Sembrano segni del
destino, quindi mi ritrovo, in questa pausa forzata, senza la mia piccola isola
di individualismo (la macchina) e non posso che mettermi a parlarne.
La macchina per me è
sempre stata un’espansione dell’intimità della casa, anzi in taluni momenti
della mia vita, è stato quasi l’unico luogo di intimità individuale, dove
raccogliermi in solitudine, dove pensare, dove piangere, dove sbraitare contro
l’ingiustizia del mondo e della vita stessa.
Non a caso l’interno si
chiama abitacolo, è proprio un luogo dove ci si “vivicola”, nel senso che non è
proprio come le pareti domestiche, tant’è vero che ci sono i vetri e sei alla
vista di tutti, però nel contempo è uno spazio privato nel quale neanche gli
sguardi indiscreti sono ben ammessi.
È un luogo dove si possono lasciare
pensieri in sospeso, idee da afferrare, cartacce di merende, canzoni da
ascoltare e oggetti da trasportare.
Ricordo lunghe passeggiate
solitarie inseguendo i tramonti rossi e scintillanti tra i laghi e il Monte
Rosa,
ricordo corse folli, ridendo e cantando a squarciagola con amiche, le migliori
amiche,
ricordo pause pranzo appisolata sul sedile, al freddo, cercando di
recuperare qualche quarto d’ora di sonno arretrato,
ricordo notti stellate
nelle vigne toscane attraverso il tettuccio aperto,
ricordo pianti disperati in
momenti disumani, cullati da musiche struggenti, ricordo discorsi e conversazioni
immaginarie con persone varie,
ricordo traslochi e staffette con la macchina
carica fino all’orlo di ricordi e pezzi di cuore,
ricordo litigate furiose con
presunti innamorati o vere fiamme gemelle,
ricordo viaggi in macchina come passeggero, mentre
guardi appena il ciglio che scorre e sai molte cose, sei lontano,
ricordo la
macchina ripiena di amici e risate,
ricordo i momenti difficili quando, ubriaca
e malconcia, guidi piano piano piano perché sai che non sei lucido
e ricordo
anche i momenti quando invece sei appena brillo e fai il pirla, guidi
sportivamente ed è ancor più pericoloso.
La macchina è il luogo dei
luoghi ma è anche un non luogo: non tutti vivono la macchina in questo modo,
altre persone la puliscono in modo maniacale (per me ovviamente), lucidano ogni
righetta della carrozzeria, aspirano ogni granello o bricciolina (pur non
mangiandoci dentro), passano il super prodotto pulente sugli interni, il
volante e il cambio, usa lo smacchiatore per i sedili e via dicendo… è comunque
una cura particolare e interessante per un semplice mezzo di trasporto.
Perché
non lo è!
L’autovettura è qualcosa che in qualche modo ci rappresenta, è una
parte di noi, un luogo dell’anima dove ci sospendiamo un attimo e ci lasciamo
condurre altrove.
L’automatismo della guida ci consente di allontanarci appena
appena dal corpo fisico e proiettarci nel dopo, nel pensiero, nel sentire, nel
progettare, nell’altro.
E poi la macchina è quel
mezzo (assolutamente personale) dove davvero puoi trasportarci di tutto.
La mia
macchina è un simpatico ricettacolo stagionale, in bella vista sul cruscotto si
possono scorgere belle e variopinte foglie secche, mazzetti rinsecchiti di
fiori, sassi levigati o ciotolini di bosco, bastoncini e radici. Le bambine (e
anch’io mi ci riconosco abbastanza) sono delle raccoglitrici convinte e nelle
nostre passeggiate amano collezionare piccoli tesori che poi sparpagliano per
la macchina (e anche la casa devo dire). Sulla macchina poi ci sono spesso
ciuffetti, fili e scampolini di stoffa o pannolenci dimenticati, residui dei
vari pacchetti e bagagli dei miei innumerevoli hobby artigianali e/o dei vari
lavori e delle diverse imprese creative delle mie figlie.
Tutti noi
spilucchiamo, mangiamo, merendiamo e ci nutriamo spesso in macchina, con l’ovvio
risultato di avere briciole, cartacce, bottigliette e tovagliolini sparsi in
giro. Ci sono poi strani oggetti abbandonati, una borsetta di peluche che ha
perso il suo proprietario, un elefantino seduto sotto il vetro, un vecchio portadocumenti vuoto dei paesi dell'est, un vecchio
giocattolo in legno delle mie bimbe piccine appeso allo specchietto e varie
altre cose, appunti sparsi, una biro, tabacco, accendini, monetine, coriandoli, vecchie carte, fazzoletti di
carta, filtri per le sigarette, stoffe, sacchetti vuoti… insomma un microcosmo.
Tutte le macchine che ho avuto sono sempre state personalizzate, quasi animate
attraverso un nome, dei vezzeggiativi, degli orpelli, oggi la mitica Twingo si
chiama Freccia Azzurra (per deridermi un po’ per i miei innumerevoli viaggi tra
la città, la casa, la scuola delle bimbe, la Corte Dal’, il lavoro, i parenti,
gli amici ….).
Io e Freccia Azzurra
maciniamo un sacco di km, mastichiamo percorsi e tragitti, ascoltiamo musica,
corriamo tra un sito e l’altro e lei (la mia twingona) fedele e amica, mi
segue, resiste, non molla, mi accompagna nelle mie attività, nel mio sentire,
nella mia biografia. Mi affeziono sempre a queste piccole case ambulanti, di
servizio, fedeli compagne di viaggi e pianti, giochi e lavori, amicizie e
infinite solitudini.
Le mie macchine mi hanno
sempre accompagnata fedelmente, strenuamente, indefessamente, sono sempre state
pezzi di casa, di vita, di intimità, un non luogo ma anche IL LUOGO, dove ti
ritiri come in un guscio di tartaruga e sei nel tuo regno.