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Star of bethlehem |
Fiumi di parole sono stati
spesi, in questo periodo sciagurato, colpiti dalla più dura delle punizioni,
non tanto dal famigerato Coronavirus, bensì con l’esilio sociale, colpiti
intimamente nel nostro più sottile e perenne rispecchiamento.
Perché alla fin fine il
mondo sociale, fin nelle sue più raffinate sfumature casuali, ci definisce
totalmente. In ogni interazione umana, dalla più piccola, come quella con il
proprio panettiere, fino alle più profonde, quelle della convivenza animica, della famiglia, in ognuna di esse noi
incrociamo fugacemente un piccolo riflesso, un frammento di noi stessi, tessere
uniche e perfette nel definire il nostro mosaico personale, la nostra identità.
Siamo attori protagonisti
nelle nostre esistenze, ma le quinte, il contesto, i ruoli, la scenografia, la
colonna sonora della nostra esistenza è costituita dall’insieme (e non dalla
somma) di tutte le succitate interazioni con gli altri umani.
E gli stessi attori della
nostra storia sono, a loro volta, protagonisti delle loro storie, nelle loro
personali identità, come soggetto primo.
Quante combinazioni,
quanti fili che si tessono, quante storie che si intrecciano a costruire una
connessione pulsante come un unico organismo vivente.
Ognuno al suo posto, un
posto per tutti.
Ebbene oggi siamo soli, nulla
e nessuno ci rispecchia, ognuno è fra sé e sé e ci manca la storia, l’abito da
indossare: chi sono io?
Questa domanda, la Domanda…
che sfuggiamo profondamente, che riempiamo di oggetti posseduti, nuovi bisogni
da rincorrere, faccende da sbrigare, pre- occupazioni… ovvero occupazioni per
il prima… quale prima?
Il mio tempo, il tempo
dello stare con me, qui esattamente dove sono.
E non importa in quanti
viviamo sotto lo stesso tetto, è l’umanità che è sola in questo momento, sola
ad ascoltare se stessa e il proprio battito vitale, perché di una cosa sono
certa, in questi giorni inquieti mi capita sovente di assistere a dei veri
miracoli: di solidarietà, di fratellanza, di empatia.
Sento, lo vedo, lo
ascolto, basta un cenno perché gli altri, che si incrociano fugacemente e a
distanza, siano propensi alla relazione, al saluto, alla carezza, alla
com-prensione
.
Fiumi di parole versate
dalle migliaia di occhi asciutti che scelgono la scrittura per assaporare se
stessi.
E c’è sempre, sempre, un motivo per cui essere grati.
Halleluia
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