Un moto molto in voga del qualunquismo di questi tempi è il famosissimo: “non ci sono più le mezze stagioni”.
È
vero? Mi sono chiesta e come sempre è partito il volo pindarico dei miei
pensieri che mi hanno portato a fare innumerevoli considerazioni.
È
una vicenda controversa, secondo me le stagioni ci sono eccome e ben definite.
Insomma visto che non sono più una ragazzina e qualche stagione l’ho vista
passare, si può dire che le stagioni non sono sempre identiche ma subiscono
innumerevoli mutamenti dovuti a variabili di ogni genere (non sempre solo
legate al degrado ambientale). Possono esserci primavere piovose e paludose,
calde e afose, violette e frizzantine, tardive o anticipatarie, generose di
fioriture o stitiche e maleodoranti. Possono esserci estati torride e limpide,
afose e dense, fresche e piovose, brulle o verdose, ricche di pomodori ma non
di peperoni, ronzanti d’api o silenti nelle lievi brezze serali. Possono
esserci autunni caldi e soleggiati, freddi e nebbiosi, piovosi e marcenti,
rosseggianti e variegati, pieni di noci e non di castagne, profumati di funghi
o secchi e sottili. Possono esserci inverni rigidi e lunghi, violetti e freddi,
nevosi o asciutti, pungenti e soleggiati, uggiosi e miti, goliardici e festaioli,
solitari ed intimisti. Insomma le mezze stagioni esistono e sono piene di
magnifiche sfumature. Certo non si ripresentano con regolarità sempre uguali a
loro stesse (e meno male aggiungerei), in verità ogni anno è una nuova
sorpresa, perché la qualità delle stagioni influenza notevolmente l’atmosfera
dei propri vissuti.
La
controversia nasce in un’altra sfera della stagionalità, quella squisitamente
culturale. In quest’ambito effettivamente è accaduto qualcosa di drammatico: le
mezze stagioni sono scomparse e defunte. La cultura non è più legata all’essere
(umano e naturale) ma strettamente e miseramente fondata da necessità
economiche. Siamo all’inizio di novembre (e ogni anno accade prima) e già il
Natale ha invaso i negozi, le vie, le vetrine, i pensieri... Ma come siamo
appena entrati nel mese dei morti dove ci dovremmo raccogliere nella nebbia
sottile e scaldarci il cuore con il pensiero rivolto ai nostri cari, nell’intima atmosfera
dell’estate di San Martino e invece arriva lo sfrenato luccichio di trine e
campanelli? Ma come… e l’avvento? Possibile che nessuno conosca l’importanza
(pedagogica ed ontologica) dell’attesa? Ecco cosa ci porta incontro l’avvento…
la capacità di coltivare in noi il silenzio in attesa di una nuova nascita (i
germogli della primavera che cominciano il loro cammino lemmi e determinati nel
terreno gelato dall’inverno ma di questo mi dilungherò presto in un altro post
:))… possibile che nessuno riconosca che seguire adeguatamente il ritmo della
stagionalità è il metodo educativo per eccellenza per sviluppare una sana
cultura ecologica che rispetta l’ambiente (umano e naturale) perché lo
compenetra… ovvero lo vive su di sé come ritmo individuale sin da bambino e non
soggiace alle leggi di mercato imposte dall’esterno. Tutte queste stagioni sono
scomparse, viviamo in un’indistinta ritualità dettata solo da categorie
merceologiche. Che tristezza! Ringrazio ogni giorno l’intera volta celeste che
le mie figlie abbiamo scelto la scuola Waldorf dove ogni respiro è impregnato
di presente, di stagionalità e ritmo. E non vedo l'ora lunedì di fare una bella lanternata ...
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