![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPq6ih6gBsbGgm1CPwzrfa4hl2aE7w-ldE-VT3qBj3rbLShYuFJblHCwtEI92i-kXCby2Bl3_nIOZfOfA1XYLYZgB-aTZC-iaNQcoOcql7NlglczIEIhoQeQxoxSKPOdCVOlTTxlb_OIw/s400/yorsh+l%27ultimo+elfo.jpg)
Cristian
ha letto tutta la saga di Silvana De mari già da un po’ di tempo e cerca sempre
di convincere, entusiasta, le persone a leggerla. Come ho già detto altrove per
me la lettura, nell’organizzazione spazio/temporale della mia vita, era diventato
un lusso che faticavo a concedermi. Ultimamente, crescendo un po’ le piccine e
sacrificando un po’ di sonno, sono rientrata nella buona abitudine di tuffarmi
dentro a vicende narrate e mondi inventati. Quindi mi sono decisa ad
intraprendere, finalmente per Cri, il viaggio nella saga della De mari.
Aggiungerei che condivido abbastanza il gusto del Fantasy e ancor di più
apprezzo le saghe perché prorogano il tempo dell’addio. Come ho già riportato
in un altro post, attraverso la “voce” di Bastiano della Storia Infinita, provo
sempre un sentimento di tristezza ed abbandono quando termina una storia
narrata: lasciare i personaggi a cui mi sono affezionata accompagnandoli nelle
loro vicissitudini, mi ha sempre dato una sensazione di perdita e rimpianto. Le
saghe, quindi, mi consentono di approfondire la conoscenza con i personaggi e
di assaporare i loro vissuti in diverse sfaccettature, protratte in tempi più
lunghi, collocate in vari spazi.
Tornando
all’ultimo libro letto, l’ultimo elfo è stata piacevole, scorreva velocemente,
lasciando sempre quell’anelito a voler andar avanti per vedere come va a
finire. È scritto bene con un linguaggio sufficientemente descrittivo e capace
di pennellare delle atmosfere del sentire in modo empatico e condivisibile.
Quello
che ho apprezzato meno è stata la sfumatura dell’umorismo un po’ troppo
sempliciotto che accompagna tutta la narrazione. Prediligo un’ironia più
sottile e meno buffa, qualcosa che fa sorridere più che ridere, invece nel
libro, talvolta, i personaggi e le situazioni sono un po’ troppo ridicole in
relazione al contesto (spesso un pochino drammatico).
La
storia è interessante e invoglia l’approfondimento, lasciando il desiderio di
continuare “a saperne” e quindi di leggere i libri successivi.
I
momenti drammatici, le azioni, le descrizioni
e le sequenze narrative sono ben bilanciate, quindi nell’insieme è un
gradevolissimo romanzo per ragazzi.
In
particolare a me è piaciuta l’interpretazione “dell’essere elfo”, ovvero il suo
modo di confrontarsi con la realtà: la contemporaneità del sentire all’unisono
con gli altri esseri di yorsh è molto poetica e dolce. Lo si può trovare in
tanti punti della narrazione, ad esempio quando descrive il “buio del sentire”
quando cercava di collegarsi al sentire del “fratello” putativo dopo che era morto. L’elfo
conserva la speranza di rivederlo, che non sia vera la sua morte, ma in cuor
suo sa che non ci sono speranze, proprio per quel vuoto, per quel buio che sente (e non che pensa).
Un
altro scorcio di questo modo d’essere degli elfi lo si trova nella sovente
disperazione e prostrazione che prova di fronte al dolore altrui, alla morte e
alla tristezza.
In
modo magistrale, direi, è espresso nella prima parte dove l’elfo è piccolo
(circa tre anni) e vaga solo nella pioggia, l’incontro con gli umani che lo
salveranno è insieme dolce e sconcertante: il piccolo di elfo viene
letteralmente attraversato dal sentire, i suoi sentimenti (di gioia o dolore)
sono espressi con tutto il suo essere e la conseguente emanazione riesce anche
a “contagiare” il sentire altrui. In questo passo si trova il concetto che più
mi è piaciuto e che vorrei portare
sempre con me: la tristezza annega la magia!
Il
piccolo porta con sé questo insegnamento della nonna, insieme alla lacerante
nostalgia della mamma e del suo focolare. Come mamma sono rimasta un po’
infastidita da questo tema che ritorna in più punti (anche attraverso la casa
degli orfani in un passo successivo). È rappresentato l’incubo di ogni mamma, è
un terribile orrore l’idea di abbandonare la propria creatura morendo, ma
peggio ancora è il pensiero che il
piccolo rimanga solo al mondo, non accolto, non amato, umiliato, affamato… un
pensiero forte che è talmente ancestrale che il vederlo narrato in più punti e
in situazioni diverse mi ha dato un sapore ridondante, eccessivo ( sempre per
il mio gusto personale).
Il
libro è intriso di pensieri magici, poesia, chiaroveggenza e solitudine. Credo
che il tema principale di questo primo romanzo sia proprio la solitudine di
ognuno, la non comunicabilità, il privilegiare il proprio bisogno prima
dell’altra persona, per questo diventa necessario un mondo di orfani, perché
per una madre il bisogno primario è sempre (quasi per tutte) il benessere del
proprio figlio.
Un’altra
parte che ho apprezzato meno è stata quella della descrizione del Giudice (il
cattivo di turno). È stato rappresentato in modo troppo ridicolo e risalta
un’enorme stupidità. Non mi piace neanche l’idea di dargli una lettura
metaforica, perché purtroppo la crudeltà non è sempre legata alla stupidità,
inoltre le persone non si fanno aggiogare dalla stupidità, bensì dalla paura,
dal dolore… Anche gli altri cattivi del libro (i guardiani della casa degli
orfani) sono estremamente stupidi. Certo l’elfo sottolinea come la nonna gli abbia
sempre spiegato che gli uomini sono stupidi, in qualche modo indietro
(evolutivamente parlando) ed è per questo che hanno sterminato gli elfi (questo
concetto poi è chiaramente esplicitato dalla donna che lo porta in salvo
rispondendo ad una domanda del piccolo).
Nell’insieme
è molto bello leggere un’ipotesi di come l’uomo si sia allontanato dalla magia,
dal sentire lo scorrere della vita altrui, sterminandolo lui stesso. Sarebbe un
libro molto interessante da consigliare a tutti i vegetariani e vegani, perché
l’elfo dichiara esplicitamente (e con orrore) che è impossibile mangiar
qualcosa che abbia pensato... è un pensiero dolce e ben dipinto dalle piccole
“resurrezioni” compiute dall’elfo. L’infinita pena che prova per l’animale
morto (un coniglio, una gallina e persino un sorcio) lo conduce a ricercare gli
ultimi odori e gli ultimi semplici pensieri dell’animaletto (legati comunque
alla percezione) per rinfondere in loro il calore vitale. Operazione non
possibile con un essere pensante più complesso come una persona. Ancora è bello
trovare il sentimento dell’elfo in un passo dove per salvare sé e la sua amata
è costretto ad uccidere un uomo. Il sentimento che lo tortura non è l’idea o il
pensiero (astratti) dell’ignobile azione, ma il ricordo del vero e proprio
sentire dell’altro nel momento della morte (il suo dolore, l’affollarsi dei
ricordi della sua vita tutti in un momento). Certo che se noi riuscissimo a
sentire in questo modo (cosa che credo sia nelle nostre capacità umane) non
sarebbe più possibile nessun omicidio, nessuna nefandezza…. E credo che questo sia il sapore più bello
che mi ha lasciato il libro: la capacità di descrivere in modo romanzesco un
pensiero sul sentire reciproco, sull’appartenenza cosmica, sull’unità di ognuno
in un’unica fratellanza. Spero che il prossimo libro “l’ultimo orco” sia
all’altezza di questa atmosfera e non vedo l’ora di rincontrare Yorsh e
Rosalba…