In
questi giorni il clima è impazzito, siamo a fine maggio e c’è davvero molto
freddo. Nevica a 1000
metri, soffia un vento che intirizzisce le ossa, ogni
giorno la pioggia viene a trovarci e, quei piccoli scorci di sole che ci
accarezzano, non fanno in tempo a scaldare le ossa di chicchessia e tanto meno
i muri delle case.
A
parte il danno alle colture (quelle buone fatte di terra, acqua e sole, non
quelle idroponiche, intensive e fittizie), a parte l’umidità sempre più
insinuante, a parte il freddo anomalo, a parte …. Il problema più grosso è che
in questo emisfero le nostre anime si avvicinavano e si stavano predisponendo
all’apertura: in ognuno c’è il desiderio di aprire gli arti come una stella,
allungare la colonna vertebrale come un gatto che si stira, liberare i piedi
dalla costrizione delle scarpe, respirare dalla pelle, tuffarsi nelle acque
rinfrescanti, illuminarsi verso l’alto e fiorire nella massima espansione di
sé. Questo clima invece è quello dell’autunno, quello che porta a raccolta le
energie e invita ad una contrazione su se stessi, ad un raccoglimento per
depositarsi, metabolizzarsi e prepararsi a future germinazioni… del sentire e
dell’essere.
Si
vive come in una sincope si è pronti per
un balzo ma si rimane contratti… e questo porta ad un certo nervosismo, ad un
anelito malinconico atavico… una forma di depressione senza origine vera e
propria… si cercano le persone vicine e non si parla d’altro perché questo “non
senso” stagionale smarrisce e si cercano gli altri per condividere la follia
del momento… e ognuno aspetta speranzoso sapendo perfettamente (?) che il
caldo, la luce, l’energia vitale arriveranno… ed ogni giorno è una grande
delusione….
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