...curioso nel mondo!!!


...curioso nel mondo!!!

I gatti sono curiosi, sornioni, saggi e liberi.



La ricerca continua del filo conduttore del significante

mi porta ad infilare i baffoni in molti luoghi interessanti...







martedì 28 febbraio 2017

Soli, unici, uniti

Cosa mi dici?
Mi ostacoli, mi derubi, mi denudi.
Dici che vuoi aiutarmi,
che vuoi farmi comprendere il tuo mondo...
perchè è quello giusto
che il mio è sbagliato
che ti toglie qualcosa
che ho paura
che non ce la faccio.

E se fossero le tue paure e non le mie?
Eppure mi fai onore,
mi investi, mi dai valore,
mi metti più in alto di quanto io sia...
Tu che passi veloce nella mia vita,
tu che mi conosci profondamente,
tu che vorresti distruggermi,
tu che vorresti seguirmi,
tu che sei mio fratello e anche il mio carnefice.
Annaspo e nuoto in questo mare di mani e sguardi,
di silenzi e troppe parole,
di presenze e archetipiche assenze,
di false cortesie e sincere scontrosità.
Rotolo e mi graffio nei rovi delle sfide quotidiane
e mi ergo fiera e mi sento sola
perchè tutti siamo soli
eppure siamo un unico essere
Soli, unici, uniti
e annaspo
si annaspo
nella fatica di ricordarlo
sempre.
Daniela Merlino

domenica 26 febbraio 2017

Custode

Arte Sociale, cosa intendo?
Per me, l'Arte è tale ogniqualvolta vi sia la compresenza delle sfere dell'uomo: pensare, sentire, volere o, se si vuole, corpo, anima e psiche, o, ancora, testa cuore membra... di chi l'arte la fa.
Arte vuol dire esserci anima e corpo, qui e ora (hic et nunc), attraversare e compenetrare la materia della mia arte, di me stesso.
E nel momento in cui sento di potermi compromettere (promettere- con gli altri), ovvero mi sento di condividere il mio sentire con gli altri e "prometto" di esserci, soprattutto ad ascoltare il tuo sentire (oltre che il mio), in quel momento diventa Arte Sociale e   l'Arte si moltiplica e diventa Bellezza (volevo ricordare che salverà il mondo).
La Bellezza si genera quando si incontrano degli sguardi nuovi e ci si regala sorrisi benevoli, quando nasce condivisione, quando "la mia casa è la tua casa".  
Lo spazio dell'arte sociale diventa un campo neutro, una sfera individuale ma non intima (quella sfera la lasciamo all'amore (familiare e non) e all'amicizia (affettiva e/o elettiva).
Presenti ma anche coscienti. 
E' uno spazio delicato che va curato, amato, illuminato.
Il tempo passa e sento sempre più il mio compito di Custode della Corte Dalì, della Casa dell'Arte Sociale. Ed è un bellissimo compito, lo sento come un privilegio che mi riempie il cuore di immensa  gratitudine.

giovedì 23 febbraio 2017

Sai davvero desiderare?

In questi giorni mi è capitato più volte di dire a persone diverse (sul lavoro, personalmente, in Corte):
Beh ma se non chiedi come pensi che possa arrivare una risposta?
Questo è un approccio decisamente "femminile", perchè le donne, in genere, pretendono che gli altri comprendano i loro stati d'animo e i loro desideri e che rispondano ad essi in modo adeguato automaticamente. Le donne dicono (e ne faccio parte anch'io ovviamente) e ribadiscono che se devono chiederlo tanto vale, che non è lo stesso... e cose del genere.
Ecco vorrei pentirmi di tutto ciò ed esercitare sempre più la facoltà di CHIEDERE quello che voglio, senza tanti giri di parole, senza nascondersi dietro a dei fuscelli, senza pretendere una risposta affermativa. Esprimere chiaramente e sinceramente quello che si sente e si desidera non ci mette in una posizione di debolezza, non ci espone alla delusione, non riduce il valore di ciò che chiediamo, semplicemente abbiamo maggiori possibilità di ottenerlo e di essere più felici.
Non che basti chiedere per ottenere quello che vogliamo, ma almeno possiamo opporci, arrabbiarci, deluderci, arrovellarci, intristirci per qualcosa di vero e non per una mera dietrologia o un'eterna e imponderabile attesa degna dell'orizzonte del Deserto dei Tartari.
Indipendentemente da queste affermazioni abbastanza banali, se vogliamo, quello che mi colpisce (come di consueto) è la risonanza di quanto accade.
Come mai mi ritrovo a dire ad altri sempre lo stesso concetto? 
Perchè mi riguarda ovvio...
E quindi?
Cosa non sto chiedendo e a chi?
E allora mi si illumina un altro pensiero... beh prima ancora di chiedere ad altri... forse dovremmo quotidianamente chiedere a noi stessi quali sono i nostri desideri... perchè se non sappiamo desiderare... beh non abbiamo accesso alla magia, alla realizzazione, a noi stessi.
Il voto, allora, che voglio fare con me stessa è proprio questo: ogni giorno reimpostare il focus sui miei desideri, sui sogni... perchè a volte si realizzano e neanche ce ne accorgiamo, perchè a volte cambiano e non lo sappiamo, perchè a volte ci procuriamo delusioni, aspettative e tradimenti... solo perchè guardiamo dalla parte sbagliata...
ci vorrebbe una scuola dei desideri... una scuola di magia, per donne ... ma anche per uomini... una scuola di sogni nel cassetto... di cassetti che si aprono...

martedì 21 febbraio 2017

E se fosse poesia?

Tutto d'un fiato, 
in questo modo potrei definire il mio modo di scrivere,
soffiare sulle parole, condensarle, raccapricciarle, sconnetterle e agganciarle...
Mi balenano seduttive nel cervello e si inseguono come guizzi di pesci le parole, senza punteggiatura, in frasi insensate eppure comprensibili.
Riflettevo e mi immaginavo... perchè scrivo?
Per rinomata, quanto inutile, oltre che improbabile, fama? 
Per puro, dolce, euforico, gustoso piacere. 
Come arricciare capelli dritti, domare chiome irsute,
come decorare e accostare spregiudicatamente,
come un bambino che gioca,
come accozzaglia di suoni ma anche di sensi e di significati e di percezioni e di risonanze.
Scrivere come canticchiare, come saltellare, come sognare, costruendo circonvoluzioni oniriche di istanti e di incontri.
E se fosse poesia? 
La mia personalissima poesia?
Mi ci dedicherò con passione e amore a questa mia poesia, a questi miei non sensi, perchè?
Perchè mi piacciono da morire... in ogni caso... 
E se fosse poesia?

Daniela Merlino

martedì 14 febbraio 2017

La strada per la saggezza è in salita

Mastodontico il pensiero che vorrei tradurre, o argomentare, o affrontare, o su cui disquisire nei miei esercizi di scrittura. 
Talmente pachidermico questo pensiero che lo affronto nel modo che meglio mi riesce, ovvero senza seguire fili logici, scrivendo di getto, secondo il sentire, tradendo, a tratti, la giusta punteggiatura e la sequenza logica delle frasi.
Saggezza? parola troppo grossa, sempre, in ogni caso fuori luogo, per la quale, credo, ci siano pochissime persone all'altezza... forse i bambini...
Saggezza? roba da bambini o da vetusti ottuagenari...
Saggezza? Riconoscere la propria ignoranza, pochezza, temporalità, fallibilità...
Saggezza? Saper riconoscere l'ineluttabilità, dimenticare i mulini a vento, capire le ragioni dei colpi di vento...
Saggezza? Non trarre conclusioni, non decontestualizzare, dare il beneficio del dubbio, offrire più possibilità...
Saggezza? Riconoscere i propri limiti e alla fin fine le proprie ignobili incapacità e impermeabilità...
Saggezza? Non sentirsi traditi... perchè chi sceglie un altrove non è che lascia te, ma guarda da un'altra parte ... e bisogna farsi una ragione di non essere il centro del mondo... almeno quello altrui... 
Saggezza? Sapere che siamo il centro del nostro personalissimo mondo e che sulla terra ci sono tanti mondi quanti sono gli abitanti che lo popolano...
Saggezza? Invecchiare con dignità, assaporare le età, rallentare, lasciare spazio ai giovani, farsi da parte...
Saggezza? Mai giudicare in una scala di valore...
Saggezza? Mai assolutizzare...
Saggezza? Mai sminuire...mai mortificare... mai mistificare... mai disprezzare... mai cancellare... mai osannare... mai idealizzare... mai dogmatizzare...

Saggezza? Il silenzio...
Ecco appunto il silenzio....

lunedì 13 febbraio 2017

La nuova Babele


 Stasera scriverò un post scontato, inflazionato direi, ma in questi giorni, in diversi frangenti, mi sono sentita toccata fortemente da questo argomento, quindi desidero esprimere qualche pensiero, giusto per chiarirmi, tra me e me le idee.
I famigerati messaggini delle diverse Chat telefoniche. 
Ecco, ci casco anch'io, le danno e condanno, eppure le utilizzo.
Ebbene sì, anch'io rimango inorridita di fronte al continuo cicaleccio dei maledetti supporti, di fronte agli scatti di chicchessia che corrono a "vedere" chi li ha contattati, di fronte alla furia mediatica a cui non siamo in grado di far fronte.
Trovo Whatsapp e C. degli strumenti di comunicazione e diffusione molto comodi ed efficaci: con un unico messaggio riesci a raggiungere contemporaneamente centinaia di persone. 
E ringrazio internet, la multimedialità e le nuove invenzioni che consentono di potersi raggiungere così facilmente.
Però c'è anche il lato oscuro di questo mezzo: la spersonalizzazione, il volto nascosto, il delirio personale, l'ostilità. la lamentela, l'equivoco, la massificazione, la confusione.
Quando una chat è utilizzata per scambiarsi opinioni importanti e significative, diventa uno strumento terribile.
Indipendentemente dai numerosi esempi che si possono fare (ad esempio carriere di insegnanti distrutte dalla chat dei genitori, matrimoni rovinati da pettegolezzi incauti, stati generali indetti per un nonnulla), insomma indipendentemente da ciò, quello che mi sorprende di più è lo stato emotivo in cui si viene gettati. Quando teniamo all'argomento della conversazione, quando ci accorgiamo che un gruppo sta prendendo una deriva che non vorremmo, (ed essendo in chat vale il solito discorso di chi tace acconsente?) Quando vorremmo non occuparcene più ma il telefono continua a trillare, quando vorremmo dimenticare un argomento ma qualcuno si accanisce, quando vorresti silenzio, ma l'incontinenza mediatica non ce la fa, in questi momenti diventiamo nervosi, invasi dai mosconi, agitati.
Un tempo se dovevo confrontarmi con qualcuno aspettavo di incontrarlo, guardarlo negli occhi, argomentare...
Oggi regna sovrana l'incontinenza. appunto, ho un bisogno e lo voglio esprimere subito, a qualunque ora, a qualunque costo, senza immaginarmi in quale contesto, in quale casa, in quale momento il mio messaggio arrivi... è terribile, è la cancellazione dell'io altrui, è la cancellazione delle regole di base della comunicazione che richiede messaggio, emittente e ricevente... 
il Ricevente cade in secondo piano, quello che conta è la spunta azzurra... l'ha visto... perchè non mi risponde? Fa finta di niente? è d'accordo...
Siamo in un momento storico/culturale nel quale è facilissimo comunicare, ma cosa comunichiamo? Come? 
La nuova Babele, dove le parole si sono mischiate e sono diventate incomprensibili, non sappiamo più guardarci negli occhi, aspettare le risposte, porre delle domande vere che necessitano di silenzi, di ascolto, di pensiero.
Affidiamo a questi strumenti comunicazioni troppo importanti, la fine o l'inizio di relazioni, scelte di vita, impressioni, giudizi.
Mentre parliamo con qualcuno è così straordinariamente appagante cogliere le mini espressioni degli occhi che possono appena appena guizzare e cambiare completamente l'orientamento di una discussione, quei piccoli gesti delle pupille, delle mani, quei brevi respiri o apnee, quelle pause, quelle incertezze, tutti questi particolari che offrono ad un dialogo il novantapercento del significato di qualunque conversazione... cosa ci siamo persi?
Utilizziamo pure questi comodi supporti ma non perdiamo il valore nutriente, appagante, significante di una bella e sana chiacchierata...
Non demandiamo ad un click... e continuiamo a fare all'amore con la parola, lo sguardo, il contatto...

martedì 7 febbraio 2017

Eccessi di tosse



Oggi è stata una giornata moooolto lunga!
Direi che è partita direttamente dalla notte. Infatti, oltre ad essere già andata a letto ad un orario proibitivo lavorando alla continua sistemazione della casa nuova, dopo essermi addormentata da poco, mi è arrivato il primo eccesso di tosse. 
Non solo mi ha svegliato, ma mi ha sconquassato, quella sensazione terribile di arsura e solletico insieme alla gola mi ha attanagliato a lungo. Non è stato possibile rimanere a letto, mi sono alzata, ho bevuto, ho mangiato una caramella e, affacciata alla finestra, attonita e stanca, ho aspettato che passasse questo scombussolamento, questo raglio secco e continuo che mi porta alle lacrime (non di dolore, ma proprio di scompostezza fisica).
Finalmente, piano piano, tutto rientra, mi dirigo a letto più stanca di prima, guardando sconsolata la sveglia, sob, sapevo che da lì a due ore sarebbe suonata. Ricado, immediatamente, in un sonno che mi auguro ristoratore, quando mi sento toccar dentro concitatamente, apro gli occhi confusa, guardo la sveglia (è passata solo mezz'ora), sono le bambine (tutte e due), incubo notturno, agitazione condivisa, si infilano nel lettone e si rigirano rumorosamente, rubando le coperte...
E no, bimbe, questa volta le ho rispedite indietro, dopo notti passate tra febbri, vomiti, fatiche e tossi, quelle due ore me le volevo fare tranquilla. Hanno tentato di opporsi ma hanno riconosciuto la mia determinazione e, seppur mugugnando, sono tornate nei loro giacigli.
Tutto questo antefatto per spiegare il mio stato, stamattina all'ingresso in ufficio.
Dopo un risveglio faticoso, sentendo macigni sulle palpebre e fatica alla gola, dopo aver eseguito le medesime procedure del mattino, sempre complicate e concitate (vestitevi, fate colazione, lavate i denti, mettete le scarpe, pettinatevi, mettete la giacca, il cappello, la sciarpa, vuotate le tasche da giochi e giochini, spicciatevi... tutto ripetuto infinite volte ... come se non imparassero mai la sequenza), beh dopo tutto ciò vengo scodellata dalla macchina davanti all'entrata, entro  alle 7.45 in ufficio come se avessi  già lavorato due giorni.
La giornata prevedeva numerose incombenze e affollate riunioni (nelle quali era necessaria anche una certa presenza "pensante").
Sono stata lieta di vedere l'amico e collega Goffredo, abbiamo speso qualche minuto per condividere un caffè alla macchinetta e raccontarci del fine settimana... e poi precipitevolissimamente immersi nelle vicende.
In una delle riunioni... secondo eccesso di tosse... niente, non era più possibile rimanere nella stanza, parlare con le 7 persone presenti (che hanno asciugato tutto l'ossigeno della stanza, almeno questa era la mia sensazione). 
Ho dovuto congedarli velocemente perchè sentivo quel prurito alla gola insopportabile, tossivo e tossivo e lacrimavo e cercavo di parlare ma non ci riuscivo, mi hanno aspettato... la riunione è continuata, allo stremo delle mie forze.
Nessun tempo, quando sono andati via era già ora di correre in un'altra riunione fuori sede.
Sconsolata, stanca, con una profonda voce da telefonista porno, sono corsa alla riunione. 
Mi sembrava di camminare su un terreno molle (tanto ero stanca), con un lieve senso di giramento di testa, sentendo brontolare la pancia dalla fame (erano già le 14 e tempo di mangiare nullo).
Un'altra riunione, ancora parole, ancora pensiero da attivare, ancora altrove, da me stessa, dal mio corpo che mi sta richiedendo... 
Ho parlato poco e la tosse non mi ha più aggredita, parlavano loro, io ascoltavo, desideravo andare a casa... 
ma a sorpresa sono comparse altre riunioni inderogabili che si sono protratte fino alle 20.45. 
Arg. 13 ore di lavoro, 13 ore di riunioni, 13 ore di parole.
Durante il pomeriggio è capitato ancora: nuovo eccesso di tosse, ho mangiato caramelle, ho cercato di contenermi (stavo parlando con delle persone), mi sono affacciata alla finestra a prendere aria, ho lacrimato, ragliato, ansimato un pò...

Perchè una descrizione così dettagliata di una giornata?

L'eccesso di tosse è sempre interessante, mi sembra sempre come una richiesta di fuga, un bisogno di spostarsi, di allontanarsi, di silenzio.
L'eccesso di tosse ti mette un pò a nudo, ci sono reazioni di ogni tipo delle persone accanto: c'è chi ti guarda un pò schifato (un pò lo capisco), c'è chi ti offre tisane, acqua, caramelle (non badando che in quel momento non vuoi nulla, che fai fatica anche a declinare gentilmente l'aiuto offerto, che vorresti essere nel tuo privato e scomporti liberamente a questo eccesso, insomma vorresti scappare), c'è chi ti ricorda che fumi, c'è chi continua a parlarti imperterrito e smette solo quando gli spieghi (tra un rantolo e l'altro) che non lo stai ascoltando (e come potresti?).
Ovviamente non stavo così male, se no sarei andata a casa, in verità in certi momenti, in certi ambienti, in un certo modo, quando ho la gola affaticata, attuo questo faticosissimo metodo di fuga (indesiderato perchè se non te ne puoi andare è un danno).
Giornata impegnativa come dicevo, mi sono ritrovata in gruppi e gruppi di lavoro, ci sono stati anche scambi utili, ameni, interessanti... ma troppe parole... le mie intendo.
Gli eccessi di tosse mi sono arrivati (a parte quello notturno), quando parlavo e raccontavo, nella relazione con l'altro.
Insomma in questi anni, nei quali l'inverno mi presenta questa tracheite invalidante delle conversazioni, che anni sono? Cosa vuol dire? 
Nel nodo della gola, di Marte, dell'affermazione di sè, nella parola... impedimento e fatica, vulnerabilità e fuga.
Come sempre la saggezza popolare viene in aiuto: avere un rospo in gola... cosa devo sputare? 
Non solo in questo momento, ma negli ultimi anni, quali sono le parole che non ho detto e dove e a chi... per ritrovarmi ogni anno in questa condizione?
Eppure in questi momenti di disagio e difficoltà ho intravisto degli sguardi (sorpresi, divertiti, interrogativi, ostinati), occhi che mi sembrava di vedere da una fessura (perchè era come se per un attimo fossi altrove)... e le parole svaniscono e di questa giornata ricordo più gli sguardi che le parole... il mio lavoro è fatto di parole e non penso di potervi rinunciare... quindi non è questa la lezione che devo comprendere... forse devo ricordarmi di guardare sempre da quella fessura di un altrove (senza necessariamente tossire), 
guardare oltre 
mentre che si parla... 

sabato 4 febbraio 2017

Coraggio e Volontà

Coraggio e volontà. 
Sì ecco, ci vuole molto coraggio, oggi, ad investire nella cultura. 
In una cultura che non è proprio pop, in un pensiero di condivisione e arte sociale.
Ci vuole anche volontà, perchè bisogna aver voglia di lavorare sodo, di impegnare i propri fine settimana, le serate, ordinare, pulire, pensare.
C'è stata una bella conferenza: salute e malattia alla luce del Karma, tenuta dal bravissimo Mauro Vaccani.
Abbiamo deciso di ospitare questo relatore tanto preparato e scrupoloso, abbiamo voluto questo tema difficile e importante, abbiamo scelto di preparare anche un pranzetto per i nostri "ospiti", abbiamo abbellito con fiori, preparazione e dedizione.
Cosa c'è di così eccezionale in tutto ciò? 
Niente, in effetti, uguale a tante altre associazioni. Però, proprio come per tutti gli altri, non ci si immagina quanto sia impegnativo.
Ieri la mia Piccolona aveva un bel febbrone e tanto dolore alla pancia, io sono super raffreddata con una tosse d'asino, lavoro e vita scolastica impegnano moltissimo la mia attenzione, vorrei svuotare gli ultimi cartoni del trasloco e trovare un posticino per ogni cosa, vorrei riposare, vorrei chiacchierare in modo ameno con le mie amiche, il relatore stesso era molto fatilicato con un bel mal di gola.
Eppure tutti noi  ci siamo organizzati e radunati, oggi e tante altre volte, perchè crediamo in qualcosa, crediamo che sia bello offrire nuovi impulsi, costruire calore e relazioni, lavorare insieme, spingere con forza per realizzare qualcosa di utile per il mondo.
Ed oggi la conferenza parlava proprio di questo, di come si sviluppi malattia quando viviamo nella menzogna e nell'errore. 
E questa vita è costruita sopra la menzogna e l'errore: sempre più separati dall'etere, vicinissimi e lontanissimi insieme; 
sempre più intrappolati nelle maglie di una rete virtuale, connessi e soli; 
sempre più lontani dalla natura vivente e immersi nell'apparenza.
Ecco sì, ci vuole coraggio per proporre qualcosa di diverso, ma credo fortemente che questo sia un bellissimo modo per perseguire il vero, la sincerità, la vita. 
E sono stata felice oggi, mentre sentivo Mauro parlare di questo, in qualche modo, parzialmente, mi sono riconosciuta in questo anelito di verità e concretezza relazionale. Mi piace pensare che quello che stiamo realizzando siano dei timidi passi verso la salute, verso la guarigione dell'anima, verso l'opportunità di incontrarsi veramente.
Tutto questo non sarebbe possibile se non fossimo un gruppo, amici che si tengono per mano, che camminano nella stessa direzione, anche se con mete diverse, passi diversi, desideri diversi: siamo spinti tutti da questo anelito gratuito di realizzare contatto, opportunità e condivisione, di cercare noi stessi attraverso la relazione con gli altri.
Grazie amiche che oggi siete state con me, che vi siete alzate prestissimo di sabato, che avete riso e faticato insieme a me, che ci siete... sempre!
E grazie Mauro di aver portato tanta sapienza e studio che ci hai offerto, con infinita generosità e fatica, e anche tu Grazia, che credi in me e porti tanto e tanto di bello, anche per te il mio ringraziamento.
Un amore infinito per te, Cristian, che sei sempre al mio fianco, papà meraviglioso  e, soprattutto, credi in me, sempre! 
E ne vale la pena, nonostante gli starnuti, il sonno, il turbine esistenziale, ne vale sempre la pena!
E sì ci vogliono infinito coraggio e tanta volontà, ma il bello è che non si è mai soli.

mercoledì 1 febbraio 2017

DSA e dintorni

  In questi giorni mi è capitato sovente di parlare con diverse persone dei disturbi specifici dell'apprendimento, (DSA).
Lungi da me il volermi sostituire all'illuminato parere dei magnifici e superlativi neuropsichiatri che, dall'alto dei loro test scientifici e misurabili e provabili, sicuramente ne sanno molto più di me, sicuramente nel campo sanitario... in quello pedagogico credo di avere anch'io qualche competenza da spendere e aggiungerei che forse dovremmo pensare bene a quello che stiamo combinando, forse (e dico forse) non sarebbe sensato che in questi ambiti diagnostici dedicati ai bambini, al loro modo di apprendere, di sentirsi, di affrontare la frustrazione, insomma laddove non ci siano delle effettive minorazioni psichiche e/o organiche, non è sensato pensare di mettere la figura del pedagogista, invece che quella del neuropsichiatra? O almeno insieme?
Ma questa sembra una polemica e non è quello di cui voglio parlare: in verità mi preme sottolineare che NON è SENSATO ipotizzare una diagnostica precoce dei DSA o disturbi specifici dell'apprendimento. 
Mi basisco alquanto di quei progetti di prevenzione pensati nelle scuole dell'Infanzia e a quelle certificazioni formulate prima degli 8/9 anni. 
Mi sembra di intravedere un'ignoranza di fondo: i bambini sviluppano la capacità di rappresentazione intorno ai sei anni e mezzo e da lì in poi la raffinano in un paio d'anni. 
Cosa vuol dire questo? 
Vuol dire che il bambino ha bisogno di allenare una sua nuova facoltà e non si può pretendere che sia subito "competente". 
Per intenderci è come chiedere di suonare l'aria di Bach a qualcuno che ha appena preso in mano il violino. Ci sorprendiamo che non lo faccia e gli diciamo che ha problemi. Beh credo che il novello musicista diventerà subito insicuro, ansioso e non amerà molto suonare! 
Lo stesso vale per leggere, scrivere e far di conto.
Non capisco perchè la scuola, gli specialisti e (purtroppo) anche i genitori abbiano tanta fretta!
Un bambino ha il tempo di tutta la scuola primaria per raffinare le capacità di letto-scrittura e di calcolo, è necessario infondere l'amore per lo studio, capacità che, se persa precocemente, sarà davvero difficile riconquistare.
Sento già le obbiezioni di chi ci è passato e di tanti altri, vorrei vedere te, non sai cosa vuol dire eccetera eccetera.
Quello che sto cercando di dire è che se c'è effettivamente una dislessia o una discalculia o digrafia, c'è tutto il tempo, non bisogna affannarsi: i supporti multimediali che aiuteranno e sosterranno chi ha questo tipo di difficoltà, permetteranno nella scuola secondaria di stare al passo con gli altri e di scegliere la carriera scolastica e professionale che meglio si crede. Ma questo sarà possibile solo se avrò attivato tante altre capacità critiche, di pensiero divergente, di scelta, di capacità immaginativa, di arte e creatività, di fiducia e di amore per la scuola, di amore per gli insegnanti e il per sapere.
Un bambino con problemi specifici d'apprendimento molto probabilmente ha avuto un blocco o un ritardo nello sviluppo sensomotorio nei primi sette anni, ovvero non ha sviluppato nel migliore dei modi il senso del movimento e / o dell'equilibrio, compromettendo l'organizzazione spazio temporale della realtà, presupposti indispensabili per l'apprendimento di letto-scrittura e calcolo.
Come posso pensare di favorire questo GAP intercorso attraverso i sistemi compensativi in tenera età? I bambini avranno invece bisogno di passeggiate nei boschi, staffette, percorsi, psicomotricità, cadute e piroette, danze e pitture per recuperare il più possibile quei pre-requisiti: tanto cos'ho da perdere? 
In qualche modo c'è già stata un'interruzione anomala di tale sviluppo, che sicuramente potrò compensare con i sistemi informatici all'età giusta per poter accedere ai saperi e alle nozioni. 
Ma prima perchè?
Prima è necessario che il bambino sperimenti, provi, scopra nuove strategie personali nell'apprendimento e nell'organizzazione senso motoria.
Le certificazioni precoci fanno un danno esagerato, è come se legassero mani e piedi ai bambini togliendo loro la più grande maestra di vita: l'esperienza!
E' possibile che nei primi anni di scuola i bambini capovolgano lettere e numeri, se non reagiamo con ansia e preoccupazione, molto facilmente questi piccoli problemi svaniranno da soli, magari è il segnale che il nostro bambino o alunno è un pò troppo sedentario? magari posso organizzare qualche gita in natura in più o qualche gioco psicomotorio in palestra? 
Posso immaginare di fare grandi pitture murali, così che il bambino utilizzi tutto il corpo per scrivere e non solo la motricità fine, in modo che possa introiettare il segno nel corpo prima che nel pensiero.
Posso costruire percorsi tattili con i piedi per rappresentare curve e dritte (basi per la letto-scrittura), posso giocare agli specchi, ai ribaltamenti, ai quattrocantoni... tutti giochi che organizzano lo spazio. E per il tempo? giochi con la palla, danze in cerchio, filastrocche cantate in gruppo... 
Vi prego lasciate da parte i computer fino alla secondaria, mettete i bambini in movimento, mettetegli le mani in pasta, fateli cadere, rotolare, cantare, urlare, correre, saltare, ballare... nulla scappa davvero.
Anche perchè se ci sono patologie più gravi di un semplice disturbo specifico dell'apprendimento, insegnanti e genitori se ne accorgono subito... e in tal caso gli interventi precoci e le certificazioni devono essere tempestive... ma credo che siamo in una società che problemizza la lentezza, la vivacità, i sogni ad occhi aperti, la voglia di giocare... tutte cose naturali per un bambino... e così scappa la voglia di studiare, ci si sente stupidi, inadeguati, inferiori... a volte persino privilegiati (Lui usa il computer a scuola).
Sono un pedagogista e credo fermamente che l'approccio educativo e gli stili di insegnamento dovrebbero rinnovarsi e dinamizzarsi un pò... altro che diagnosi precoci!
Le maestre dovrebbero riprendersi il loro giusto posto!
Un tempo la maestra unica sapeva chi aveva in classe: c'era il bimbetto che correva ovunque ma che ascoltava tutto, quello che guardava fuori dalla finestra sognante, quello che non aveva voglia ed era slumacato sul banco, quello triste, quello diligente, quello saputello... e sapeva che, piano piano, in cinque anni tutti loro avrebbero raggiunto quei requisiti di base per stare nel mondo, per imparare, per studiare, per lavorare, per godersi la cultura... oggi dobbiamo sapere innumerevoli nozioni, superare gli INVALSI, essere competenti e ce ne freghiamo di come stanno i bambini, se sono ansiosi, se temono la performance, se sono competitivi, se sono inadeguati, arrabbiati, infelici... 
Abbiamo smesso di farli giocare e loro gridano forte contro l'ingiustizia che stanno subendo, rendendo la vita a scuola difficile, con i disturbi d'apprendimento, con l'oppositività, con la paura.