...curioso nel mondo!!!


...curioso nel mondo!!!

I gatti sono curiosi, sornioni, saggi e liberi.



La ricerca continua del filo conduttore del significante

mi porta ad infilare i baffoni in molti luoghi interessanti...







mercoledì 21 marzo 2018

Qualcosa è cambiato

E' davvero impercettibile quando arriva un cambiamento vero e sostanziale.
Nelle fantasticherie, quando si comprende qualcosa di nuovo,  quando finalmente si scioglie qualche nodo, quando, ci si libera di  qualche proiezione o zavorra, ci si immagina come un boato, come un lungo applauso corale, come uno schiocco, come un lampo di luce, tutto a sottolineare il "passaggio" da uno stato all'altro, come un trionfo, come una meta raggiunta.
E invece no, quando avviene un cambiamento profondo e vero, in verità è impercettibile, ci si accorge, quasi per caso, che le nostre azioni cambiano lentamente, che certe zone erronee vengono piano piano modificate, che si vive nello stesso posto ma, improvvisamente, ci si accorge di vederlo in modo diverso.
Tutto questo genera le più svariate reazioni nelle persone che ci stanno intorno.
Alcuni si sorprendono nel vederci cambiare direzioni o comportamenti, altri si oppongono fortemente perchè sono loro ad aver paura del cambiamento e non noi, altri ancora si sentono disconfermati e richiedono a gran voce il ritorno alle "vecchie maniere" per essere più sicuri e sentirsi accolti. Poi ci sono i disfattisti che vedono negatività e i pessimisti che ti garantiscono che fallirai ancora.
Tutte queste reazioni minano fortemente quei cambiamenti che sono superficiali e imposti dalla volontà e/o dal pensiero astratto. 
Invece quando si esce dalla propria zona d'ombra, quando si rivisitano i propri vissuti accogliendoli benevolmente, quando si accetta la critica e la distanza dell'altro, quando non si continua a cadere nella solita buca che abbiamo da sempre davanti ai piedi, quando ci ricordiamo che siamo entità divine, tutto scorre e non ci sono nichilisti, imbroglioni, gelosi, invidiosi o abbandonici che ci possano fare tornare indietro.
Perchè quello che è meraviglioso del cambiamento consapevole è che quando guardiamo oltre il velo, quando scorgiamo noi stessi, lì nascosti dietro alla paura, quando finalmente possiamo integrare parti di noi nella nostra vita, non possiamo più tornare indietro, anche volendo.
I percorsi di crescita veri ed efficaci sono così costituiti, come una scintilla, un momento tra altri momenti, ma poi... improvvisamente ti accorgi che... qualcosa è cambiato!

martedì 20 marzo 2018

Ci siamo, manca poco!

Primavera,
ti aspettavo in silenzio,
e ieri ti ho scorto, lì in quella strada grigia e triste, 
un albero gremito di piccoli fiori rosa,
un occhiolino luminoso in mezzo al nulla.
Il collo si ritira ancora frettoloso al primo passo all'aria aperta,
la pioggerella incessante, rabbrividisce, come un tremito lontano,
come un brivido di febbre, un questo inverno morente e accanito.
Primavera,
ti ho sentita, improvvisamente, passando indifferente tra le vie,
un cespuglio pieno di uccelli canterini, ha investito il mio sentire,
in una fresca e dorata mattina.
Arrivi, silenziosa e misteriosa, 
come tocchi di luce, come giochi di armonie, come risveglio dell'anima.
Aspetto impaziente lo sfoggio di forsizie e magnolie,
mi immagino le aiuole da domare e rivitalizzare,
mi crogiolo in questi ultimi istanti di concentrazione,
mi preparo a uscire, piano piano, come un germoglio, 
in nuove iniziative, in nuovi aneliti, in nuovi sentieri.
Ci siamo... manca poco!

Daniela Merlino

domenica 18 marzo 2018

Invito alla De-Frammentazione

In tutti questi giorni, nelle vicissitudini personali, nel mio lavoro, nella formazione personale, ho avuto modo di sperimentare la frammentazione dell'individualità. Siamo sempre più alla ricerca di soluzioni su misura, eppure perdiamo il senso del nostro essere interi. In ogni ambito in cui rivolgiamo l'attenzione ci si accorge di come si è sempre più precisi nel misurare quantitativamente la realtà, le performance, le verifiche (e persino le valutazioni) di ogni sistema a cui apparteniamo: sistema famiglia, sistema scuola, sistema professione, sistema della città, piccole e grandi aggregazioni sociali. 
Quello che scarseggia tristemente è un approccio sistemico che "raccolga" i frammenti di esperienza, di vissuti, di quotidiano, di routine, di interazione e ne faccia una valutazione qualitativa prima di voler apporre un qualsivoglia modifica a quello che è.(progetto educativo, apprendimenti, cambiamenti positivi)
Andando più nello specifico mi interessa in questo momento porre l'accento sulla pedagogia o, ancor meglio, l'educazione (non dei bambini) ma delle persone che abitano e vivono in questo mondo (oggi come infanti, bambini, ragazzini) e domani gli adulti pensanti e operanti nelle nostre città.
Cercando di guardare, con un pò di immaginazione pedagogica, un pò più avanti nel tempo, che tipo di scenario pensiamo di scorgere?
Io quello che vedo, nella mia piccola e grande esperienza, è che l'infanzia è stata sempre più degradata e mortificata che si è tolto ai giovani virgulti la possibilità di godere della noia, luogo privilegiato per la nascita di un pensiero creativo che sappia accedere e attuare il problem solving di fronte a una necessità o a un quesito.
I bambini sono letteralmente spezzettati in una miriade di attività (sport, laboratori creativi, musica, pomeriggi scolastici, compiti, lingua straniera). Cominciano presto al mattino e galoppano sfrenati nella loro frastagliata giornata, fino al crepusccolo, dove si mangia e, si spera, si va a dormire. 
Dove sono i momenti di rilassamento, i momenti di silenzio interiori dediti ad un'attività ludica di concentrazione, i momenti di noia dove pensare ed escogitare, i momenti di solitudine che spingono verso le interazioni sociali, i momenti di malinconia dove sentire "la mancanza" e imparare,così, a tollerarla la frustrazione, i momenti di silenzio dove imparare l'Ascolto. Dove è finito il bambino intero? 
Quello che accade anche (ed è un rinforzo ulteriore di questo delirio) è che i bambini e i ragazzi accedono sempre più precocemente e assiduamente ad internet e tutto quello che ciò comporta (social net-work, giochini, messaggeria varia, video e foto diffuse indiscriminatamente).
Si potrebbero aprire infiniti capitoli, e vorrei aprirli piano piano con passo pachidermico, lento ma deciso e inesorabile, vorrei promuovere un gruppo di studio locale, qui a Varese, la mia città, sulla pedagogia, sull'educazione, sulla De-Frammentazione dell'infanzia: 

l'officina pedagogica.
Il prossimo incontro dell'officina pedagogica 
sarà domenica 25 marzo 2018 dalle 10.30 alle 12.30.

Con Daniela Merlino (pedagogista clinico) e con chi vorrà esserci 
Presso l'Associazione Culturale Corte Dalì segui il link 

Vorrei fondare un gruppo di ricercatori di un pensiero educativo forte che cerca di immaginarsi i bambini e i ragazzi come persone che hanno e avranno un progetto di vita e mirando ed ammirando questo "progetto di vita" ipotizzare strategie, interventi, soluzioni e nuovi quesiti.
Un gruppo che si pone delle domande, che cerca esperti e collaboratori per provare a dare qualche risposta, che condivide pensieri, dubbi e riflessioni, che immagina nuovi scenari e nuove possibilità operative.
Un gruppo che pensa a percorsi di crescita pensando ai bambini.
Un gruppo di educatori che amano esserlo: insegnanti, pedagogisti, educatori, professionisti e terapeuti, genitori, nonni, un gruppo di persone che pensano ai bambini prima che agli interventi.
Spero di trovare compagni d'avventura in questo viaggio di De-frammentazione educativa.



mercoledì 14 marzo 2018

Notazioni biografiche: è uno di quei momenti


Ci sono passaggi, ci sono momenti, ci sono crune che non possono essere evitati.
Nelle corse sfrenate, nelle premeditate assenze, nelle posticipazioni, nelle compresenze arriva un momento nel quale è necessario fermarsi, soffermarsi, impastarsi.
E' uno di quei momenti. 
E' uno di quei momenti biografici fondamentali, dove si creano le svolte, dove si sciolgono dei nodi, dove ci si immerge nella comprensione, nel significato di "prendere con sè". 
Mi piace pensarmi come una studiosa della biografia umana, mi piace pensarmi come un ricercatore di fili d'Arianna, i più svariati: quelli invisibili, quelli dolenti, quelli contemplativi, quelli profondi, quelli audaci, quelli progressisti...
Per meglio calarsi nell'atmosfera di uno snodo biografico è utile pensare agli antefatti, farsene delle immagini, delle sequenze, delle risonanze e quindi connettere tra loro gli eventi della propria vita.

Primo Antefatto
Percorso di formazione di Costellazioni familiari, un lungo tragitto nello studio degli ordini dell'Amore, delle leggi di sistema che indirizzano, plasmano, modellano i propri schemi relazionali nella vita. 
A week end intensivi mi sto confrontando con parecchi dei miei fantasmi, delle buone o cattive madri (o padri, o sorelle o fratelli o nonni) introiettati nell'infanzia, nelle ferite, negli snodi biografici (appunto).
Un percorso irto di ostacoli, di sospiri, di apnee, di condivisione, di sgomento, di resa, di perdono: un bel bagaglio di istantanee di se stessi nel tempo, ma anche nel qui e ora, nel rendere congruente il proprio sentire con il proprio volere.

Secondo Antefatto
Studio ed approfondimento dell'archetipo biografico, delle connessioni, del karma, delle leggi spirituali che governano le relazioni umane. 
Un percorso affascinante e articolato che mi porta lontano e soddisfa contemporaneamente la mia passione per la riflessione intellettuale e l'autoriflessione in chiave antropologica o antroposofica.
Pane per i miei denti e per la mia emotività, nutrimento per l'anima.

Terzo antefatto
I problemi di salute della mia mamma, la difficoltà a trovare la diagnosi, la sofferenza di questa anziana donna, il riincontrare il suo sguardo conosciuto intimamente (come nessun altro al mondo) e nel contempo sconosciuto per gli infiniti rigagnoli, torrenti, fiumi dirompenti, che hanno riempito le nostre vite e hanno necessariamente portato distanza, soprattutto nella stretta quotidianità che tanto costruisce identità (alla fini fine) e non si tratta solo di parenti e amici stretti, ma di tutte quelle interazioni quotidiane che dipingono le pareti della propria giornata interiore.
La mia mamma tanto cocciuta, tanto conosciuta fin nelle membra.
Una mamma di 82 anni che faticosamente vive ancora battagliera e arzilla, fermata di malavoglia da questo accidente di salute.

E con  tutti questi antefatti cosa posso dire? 
Sono, anzi siamo, io e la mia mamma, ad uno snodo ferroviario delle nostre esistenze (insieme e ognuno la propria), un momento magico e rarefatto, a volte tristemente riflessivo, a volte acceso da punte di nervosismo, a volte pensieroso...
Quanto lavoro interiore che stai facendo amata vegliarda: al di là del tempo che rimane (mesi, anni) non importa, quello che accade è  che dei nodi, degli incontri, dei copioni, delle ricapitolazioni, delle sintesi, delle meraviglie, dei solchi, delle risa, dei pianti, delle aspettative, dei rimpianti... rimane solo la certezza di riguardarci moltissimo...
e siamo qui, tu nelle tue vicende, io nelle mie e necessariamente nella nostra vicenda (dove connessa) a rotolarci e intesserci in questo momento peculiare. 
Grazie mamma perchè ancora oggi nasciamo e moriamo, come in un travaglio condiviso  ... ed è comunque un per sempre... 
grazie all'autoeducazione, grazie alla ricerca biografica, grazie alla presenza

Pronto Soccorso? mica tanto... storia di un NON LUOGO



Mi soffermo sicuramente a pensare, non ne ho tempo ma è indispensabile!
Negli ultimi mesi per numerose e faticose vicende che si sono sommate, mi sono ritrovata per ben CINQUE volte in uno dei NON LUOGHI più rappresentativi della categoria: il pronto soccorso!
Le ragioni che mi ci hanno portato sono state svariate: qualche contusione familiare (il ditino della mia piccolina, la mia caviglia ancora dolente, il gomito di Cristian... ah! periodo traumatico...) e in più acciacchi e malesseri impegnativi della mia ottuagenaria mammuzza.
Al di là delle singole occasioni che meriterebbero ognuna un post a parte per narrare le vicende biografiche su chi di noi aveva (ed ha purtroppo per la mia Mami) la necessità diretta di accedere alle cure del pronto soccorso, mi interessa di più soffermarmi su un generico, quanto impellente, post sulle caratteristiche sia di NON LUOGO, sia di luogo di cura (se così lo possiamo ancora definire) che caratterizzano il pronto soccorso.
Purtroppo l'esperienza serrata e diretta che ne ho avuto in questi ultimi 4 mesi mi ha costretto a diventare attenta osservatrice di dinamiche terrificanti, talmente sofisticate e numerose che si rende necessario procedere per punti, con un bell' elenco numerato:

1  NON LUOGO perchè è un'intercapedine tra due luoghi (o più), perchè non ha altro scopo che essere un passaggio, perchè le persone che ci si ritrovano sono le più svariate, con origini, culture, pensieri, abitudini così diverse e variegate, da creare un piccolo universo. Solitamente, i luoghi che frequentiamo, sono "abitati" da persone simili a noi, come linguaggio, come studi, come professionalità, come imput e output  socio/culturali dello stesso tipo... quì ci si incontra, ma non ci si incontra davvero, raramente ci si scambia anche solo il nome, ci si scambia sguardi, brevi o lunghe parole, condivisione di spazi e sofferenze, ma poi è come se fosse un lungo dormiveglia e ognuno di noi ci si dimentica vicendevolmente come se non fossimo mai esistiti, anche se magari siamo stati seduti vicini per 5 (CINQUE) ore e, direttamente o indirettamente, abbiamo sentito un sacco di informazioni personali degli altri. Un non luogo perchè non si fa nulla, ma proprio nulla, se non aspettare,  i telefonini hanno un pò modificato le caratteristiche dei non luoghi (togliendogli quel poco di buono che avevano, ovvero l'interazione sociale casuale). Devo dire che tutti ne hanno voglia, basta un piccolo cenno o mostrare comprensione verso l'altro, perchè i telefonini vengano abbandonati in cambio di una calda e ristoratrice, breve interazione con un altro umano come noi.
Ospedale, sale d'attesa in genere (aereporti, ospedali, stazioni, uffici pubblici) ascensori... sono tutti non luoghi... e quindi sono un meraviglioso ponte nell'antropologia, nell'umanità, nelle peculiarità umane. Mi sono sempre piaciuti i non luoghi, perchè ho sempre trovato interessante studiare queste interazioni... ma 5 (CINQUE) ore sono troppe anche per me, le esigenze corporali, la noia estrema, la stanchezza e l'attesa vuota riescono a spegnere qualsiasi tipo di interesse per gli altri (sob). 

Perchè tutta questa attesa? e qui arriviamo al secondo punto:Pronto Soccorso... entrambe le parole non sono adeguate al luogo, tanto per cominciare l'80 per cento dei frequentatori sono poveri e antichi anziani che soffrono di "normali" malanni da corpo consumato. L'innalzamento della vita media ha portato con sè qualcosa di nuovo da affrontare: cosa dovrebbero fare questi poveri vecchini e le loro famiglie? Un anziano febbricitante, vomitante, con le palpitazioni, le cadute, i giramenti di testa, i dolori al petto, alle anche, etc etc... dove dovrebbe andare? Prenotare una visita medica? Così avrà un appuntamento in media tra sei mesi o un anno (forse c'è la recondita speranza della nostra società che nel frattempo muoia?) Oppure cosa dovrebbe fare? Andare dal medico generico che più che auscultarlo non può fare e magari il povero vecchietto ha bisogno di un antidolorifico per una brutta colica? Oppure? Oppure vanno al pronto soccorso e aspettano il loro turno insieme ad un'altra orda di poveri umani, sofferenti, impazienti, ansiosi e chi più ne ha più ne metta? Ovviamente questo 80 per cento di utenza intasa fuori misura il pronto soccorso (come ben sottolineato dai maledetti monitor sparpagliati per tutta la sala d'attesa del PS con la scritta "stato: gravemente sovraffollato"). Tutto questo per dire che la parola PRONTO non è proprio adatta... l'attesa media è di 5/6 ore... con variazioni più verso le 7/8 ore... inaudito. Intendiamoci non voglio assolutamente dire nulla contro gli anziani, ANZI ... penso che la nostra società dovrebbe adeguarsi alle nuove esigenze della popolazione, istituendo un pronto soccorso geriatrico, dove gli anziani possano anche trovare delle cure più adatte ed immediate alle loro problematiche. Così come per i bambini, si lasciano al pronto soccorso solo i casi legati alla traumatologia. 
Tutto questo ci porta a parlare della seconda parola: SOCCORSO. Non è possibile che il PS sia sovraffollato da influenze, flatulenze, malori, ansie, indigestioni e ciucche... il SOCCORSO dovrebbe riguardare appunto il pericolo di vita e la traumatologia. 
Non credo di essere l'unica illuminata ad accorgermi di tutto ciò. credo che le scelte economiche delle aziende (perchè di aziende si tratta) sanitarie decidano deliberatamente di mantenere uno staff gravemente insufficiente, di non occuparsi di un approccio gestionale a lungo termine che riorganizzi le attività ospedaliere offrendo, dislocati sul territorio, degli ambulatori un pò più attrezzati e più popolati di personale delle attuali guardie mediche, tutto in virtù e a favore dell'economia. La nostra società ha dei bisogni nuovi, non soddisfatti dalla nostra sanità, si gratuita, ma il prezzo che chiede in cambio è molto alto....

3  e qui arriviamo al terzo punto, sì perchè non è ammissibile che delle persone (in linea di massima sofferenti) rimangano 6, dico SEI ore in attesa... è inumano: oltre a mia figlia, ho visto molti bimbi attendere con i loro ditini fasciati, o la testa un pochino sanguinante, il gomito gonfio o l'occhio pesto. Ho visto adulti con smorfie e visi contratti mentre, letteralmente, sorreggono con orrore il loro braccio inerme e fratturato. Ho visto anziani riversi a penzoloni su scomode sedie a rotelle. Ho visto ragazzine ubriache, lasciate da sole, cadere malamente dalle lettighe stazionanti lungo le pareti grigie. Ho visto donne incinte collassare per la fatica, il calore e la scomodità...ho visto famiglie macerate dal dolore e la preoccupazione per il loro caro, non avere un luogo dove raccogliersi per piangere, per mantenere la dignità della propria sofferenza emotiva, protetta dagli sguardi dei curiosi. Ho visto bande di ragazzini divertirsi insieme chiassosamente, tutti seduti e ammassati sulle sedie, mentre poveri anziani o persone sofferenti erano costrette a rimanere in piedi, perchè non c'era più posto a sedere... insomma è INUMANO, non è lecito, può capitare una volta che casualmente si capiti in una situazione di particolare emergenza e sovraffollamento, NON PUO' ESSERE LA REGOLA! No non è possibile, voglio denunciare questa cosa, mi pare evidente che il personale sia troppo poco, che corrono come matti, vengono trattati male dai pazienti (mai nome generico è stato più azzeccato), dai familiari, dai colleghi... dall'umanità tutta. 
La nostra città ha bisogno di qualcosa di più... mi sembra evidente.
Aggiungerei che alle ore 19.00 chiude il bar interno e ci sono solo quelle orrende macchinette... se non sei esperto, entrando al pronto soccorso nel pomeriggio, non pensi di doverti portare qualcosa da mangiare, non immagini che tra le 22 e mezzanotte (o oltre) ti verrà una fame incredibile e intorno all'ospedale (nei pressi) non c'è alcun esercizio pubblico, per ristorarsi, per avere un minimo conforto e sollievo (soprattutto per gli accompagnatori) è necessaria la macchina... NO SIAMO NEL LUOGO DELLA SOFFERENZA... e tutti devono soffrire: in piedi, affamati, dilaniati dalla noia e dal nulla. (Aggiungerei che anche un banale cambia monete, o una dannata macchinetta che da il resto sarebbero auspicabili, perchè quando muori di sete e non hai monete che fai?) 

4  Ed ora arriviamo al quarto punto che, secondo me, offre ulteriore risposta ai perchè delle interminabili attese e, nel contempo, apre un nuovo capitolo di questo racconto del purgatorio in terra, ovvero la BUROCRAZIA e i PROTOCOLLI. 
Non è possibile fare coda all'ingresso quando si viene registrati dall'infermiera che assegna il codice d'urgenza (verde TUTTI perchè i rossi e i gialli arrivano con l'ambulanza). Poi c'è l'infinita attesa di cui parlavo... ma non è mica finita qui: poi si viene chiamati da una porta arancione ed ognuno si sente sollevato, dopo 5 (CINQUE) ore di attesa finalmente si avvicina la soluzione. 
Mi spiace NON é COSI'! c'è una seconda sala d'attesa, meno affollata, di fronte agli ambulatori, e lì si aspetta il proprio turno, non è un'attesa lunghissima, mezz'oretta.... ma dopo le 5 (CINQUE) precedenti sembrano altre otto ore. Finalmente si incontra un medico (dicevamo appunto PRONTO soccorso... beh non ci siamo) e qui dopo qualche domanda e pochissima visita si è smistati verso nuovi accertamenti... sì perchè i medici hanno rinunciato a quello che li rendeva unici, magici, indispensabili, la loro capacità di visitare, palpare, auscultare, ascoltare, comprendere che portava a delle diagnosi verosimili che poi potevano essere supportate da qualche esame diagnostico, non è più così, la paura di ritorsioni, di querele, il rimbalzo delle responsabilità, fa sì che ci siano dei protocolli da seguire e degli esami standard da eseguire (unica facoltà del medico decidere quali) e ci si ritrova in un'altra sala d'attesa ad attendere un'ecografia, un esame del sangue, una radiografia, etc... 
beh è quasi come dirigere il traffico... nuova attesa... mezz'ora circa? dipende... si esegue l'esame e poi? SI ATTENDE ANCORA di essere chiamati dal medico... leggerà i dati senza guardarti un granchè e stilerà una bella diagnosi supportata SOLO dagli esami... poi (se ti va bene che puoi andare a casa) lo stesso medico compila a PC le carte di dimissione (E FUORI LE PERSONE ATTENDONO... non potrebbe compilarle qualcun altro? e il medico le firma e basta?)

E qui si apre il quinto capitolo, il più dolente a mio avviso. Non voglio fare polemica e non voglio neanche portare un pensiero di cura alternativa, ma trovo che questi luoghi di cura siano tutt'altro che dediti alla cura delle persone: si lavora in tutela delle rappresaglie, sulle garanzie, sulle percentuali di risoluzione, sugli standard, sugli organi... dove sono finite le persone? l'umanità? la compassione? 
Tutto ingoiato dalle routine, dalla tecnica, dalle sezioni, dai numeri, dalle statistiche... cosa succede? Davvero l'attenzione ad un paziente INTERO non è più possibile? Davvero è necessario che una persona sofferente (anche se in codice d'urgenza verde) debba attraversare tutte queste peripezie? Davvero non possiamo fare nulla? Quello che trovo sorprendente è che le persone con cui ho parlato di queste esperienze, mi hanno risposto che è "normale" così, che funziona così, che non si può fare diversamente. Ma davvero? Davvero? Non abbiamo neanche più la forza o il discernimento di vedere che NON è NORMALE così e che dovremmo gridarlo con tutte le nostre forze. Certo non lì all'ospedale dove ci sono persone devastate (più che dai malanni dal circuito dei protocolli) e stanche, dove i medici e gli operatori danno tutto quello che possono, dove regna la paura e il rispetto... della morte... ma poi nessuno dice più nulla, nemmeno io... e quindi ho pensato che scrivere un post potesse essere un inizio... dire FORTE no, NON è GIUSTO, non è normale così.
E forse questo è il vero significato di tutte queste mie vicissitudini... sono stufa di veder che il pensiero di interezza sugli umani è in pezzi, sono stufa di vedere frammentazione e disgregazione e disumanizzazione (nella scuola, negli ospedali, nelle strade, nelle organizzazioni) ... voglio parlare, voglio condividere, non voglio essere indifferente....

venerdì 9 marzo 2018

Origini o radici?


Nel laboratorio di scrittura creativa in Corte Dalì è nata un'interessante riflessione sulla differenza (se c'è) tra origini e radici. 
La prima distinzione che abbiamo fatto è stata quella di riconoscere che le origini sono la nostra provenienza e le radici sono il luogo dove ci troviamo adesso.
Per utilizzare delle immagini possiamo dire che se mi immagino come un albero le mie radici sono proprio dove mi sono ancorato, dove prendo nutrimento, dove svolgo pienamente la mia vita, dove prendo le forze per sviluppare un bel tronco forte e stabile che regga la pianta stessa. Dall'altra parte le origini di un albero possono essere ben distanti dalla pianta di partenza, i frutti di un albero possono essere portati lontano dal vento, da qualche animale, da casi fortuiti.
E' una differenza sottile, perchè questa certosina differenziazione? 
Riflettendo da sola e in gruppo mi sono soffermata volentieri, perchè anche questa sfumatura appartiene alla biografia di ognuno, perchè a volte rimanere ancorati alle origini non ci permette di sviluppare noi stessi pienamente,  se le nostre origini non sono forti e stabili passiamo una vita nel rimpianto, o anche solo nel languore, di non appartenere e magari costruiamo radici troppo rigide o non riusciamo a trovare mai il luogo che ci fa sentire a casa (perchè non siamo in grado di riconoscerla una casa).
Insomma la propria storia di partenza, la famiglia da cui proveniamo, il nostro passato determinano in qualche modo anche il flusso della nostra vita e credo che, indipendente da quale sia la giusta definizione o discriminazione tra questi due concetti, origine e radicamento, quello che è fondamentale è farvi  interiormente pace e comprendere consapevolmente chi siamo e da dove proveniamo, in un'ottica di progresso, nella ricerca di libertà individuale, scevra da irretimenti o copioni.
Certamente si possono fare delle importanti distinzioni in base all'età o all'evoluzione di ogni individuo: per un bambino e/o un ragazzo origini e radici coincidono totalmente. Crescendo però potrebbe essere sano, si riconoscere ed onorare da dove veniamo, ma anche scegliere di radicarci, di trovare casa, nutrimento, appartenenza in "luoghi" molto lontani da dove siamo venuti.
Questo pensiero potrebbe essere una riflessione molto utile per tutte quelle persone che hanno alle spalle una storia familiare infelice, un sentimento di abbandono o esclusione. 
Siamo liberi dalle nostre origini... non intendo che bisognerebbe dimenticarle, non sarebbe giusto, sarebbe come non accettarci fino in fondo, intendo, invece, che potremmo scegliere e riconoscere le radici interiori, dentro di noi, così che ci offrano la spinta alla crescita, il nutrimento terrestre e solare, la propensione al futuro e ai frutti. 
Non a caso si distinguono famiglia d'origine e  famiglia attuale. 
La radice è la capacità del seme di ancorarsi alla terra prima di germogliare... 
ed è una qualità che il seme ha intrinsecamente in se stesso.
E poi non posso fare a meno di soffermarmi ancora sull'importanza dell'incontro umano, perchè questi miei pensieri potrebbero essere inutili astrazioni, crivelli mentali dettati da un desiderio di precisione linguistica... invece nascono da un'esperienza condivisa con altre persone, nascono da vissuti e sono pensieri viventi, sono radici che si mettono nel mio cuore e ringrazio la vita di avermi offerto queste possibilità di giocare, di raccontare, di costruire momenti e pensieri insieme ad altre persone, fondando e radicando sempre più la mia crescita. Grazie

mercoledì 7 marzo 2018

Sono decisamente una varesina

E' passato oltre un anno da quando ci siamo trasferiti dalla casa dove sono nate e cresciute le mie figlie, dal paesino dove abbiamo costruito il nido io e Cristian, dalle montagne ricciolute e scure delle Prealpi. 
Mi sembra ieri e nel contempo mi sembra di essere stata qui da sempre, in questa casa in città, vicina a tutto: alla Corte Dalì, all'ufficio, alla scuola, a me stessa. 
Sì a me stessa perchè sono tornata a casa.
Sono nata a Luino, una ridente località turistica sulle sponde del Lago maggiore ai confini con la Svizzera, un luogo dai colori forti: plumbei del lago, decisi delle montagne, cristallini dei cieli riflessi nell'acqua, dai platani imponenti e immoti; ho vissuto lì per i miei primi 7 anni di vita, troppo pochi per fissare dei ricordi delineati e chiari, sufficienti per farmi sentire un riverbero  quando passo da lì.
Ci siamo trasferiti a Varese, semplice famiglia di emigranti siciliani, fieri di un riscatto, avendo comprato una bella casa in un condominio residenziale, smarriti e sfilacciati come famiglia. 
Sono arrivata in questa città ruvida e inospitale, dove i gruppi sono già formati dall'infanzia, dalle famiglie, dalle generazioni: poco amichevoli, poco inclusivi, poco socievoli i varesini.
Molto borghesi, molto riservati, molto giudicanti i varesini.
Sono arrivata in questa città e non facevo parte di nessun gruppo, di nessuna aggregazione, ho dovuto conquistarmi la mia socialità, la mia città... per anni mi son sentita disappartenente ovunque:
non ero siciliana come la mia famiglia, non ero neanche veramente luinese, troppo piccola in quegli anni, non ero neanche varesina, troppo estranea alla vita della città. 
Sono cresciuta in questa città, ci ho vissuto per lustri, mi sono innamorata, ho sofferto, ho costruito la mia professionalità, ho realizzato me stessa. 
Conosco bene ogni angolo, le facce varesine, i colori, gli odori... ma ho sempre provato una grande antipatia per questi modi rudi e superbi.
Poi sono andata a vivere in Valceresio e sono stati anni importanti, i migliori della mia vita, dove davvero ho sperimentato la bellezza dell'incontro umano attraverso il mio amore e le mie figliole...
Ma tornando a Varese ho capito profondamente che sì, ce l'ho un'appartenenza, una radice, una patria, ed è Varese!
Sono tornata a casa e mi sento benissimo e finalmente ho capito:
sono una varesina

So tornare


Ciao sei ancora qui? 

Sì, sono stata via poco, ti sono mancata?

A volte sì, a volte no, cerco di non pensarti, a volte faccio finta che tu non esista.

Come adesso?

Cosa intendi?

Beh se mi chiedi se sono ancora qui... sottintende che speravi di non vedermi tornare.

Forse hai ragione, ma sai anche che non è vero, quando non ci sei sento un profondo senso di vuoto, di inutilità, di inconsistenza. Dove sei stata?

Sai che non posso rispondere io a questa domanda.

Silenzio, faccende, musica, pausa, assenza.

Mi ignori?

Un pochino, in verità ho tante cose da fare, da pensare...

Da pensare? Questo non è vero, sai che quando pensi io ci sono...

Non è vero, non è più vero, ho imparato ad isolarti, a non sentire il tuo sguardo osservatore, ad ignorare i richiami. Non è difficile sai? Basta riempire ogni più piccolo vuoto e tu scompari, come inghiottita dal nulla.

Non è bello quello che dici, pensi di sentirti bene quando lo fai?

A volte sì, a volte mi serve a prendere fiato, a realizzare, a consolidare relazioni... lo sai che la tua presenza è ingombrante.

Nuovo silenzio, nuova pausa, nuova assenza.

Bene se hai imparato a ignorarmi, a cancelarmi, a non sentirmi... perchè oggi continui a chiamarmi?

Perchè mi manchi, perchè senza di te non vedo i cieli violetti, non sento le vibrazioni, non mi ricordo di ieri e non credo nella forza dell'amore, perchè senza di te mi sembra di non esistere, perchè senza di te la morte è uno scandalo, perchè senza di te domani è uguale a oggi, perchè senza di te non colgo le sfumature, perchè senza di te è come se non esistessi davvero.

Capisco... cerchiamo la terra di mezzo allora, il luogo dell'incontro, della riflessione, della crescita... vivi pure la tua vita senza di me, senza il mio borbottio, il mio guardare prima... e poi ci incontriamo in quella striscia di nulla e ci guardiamo, ci raccontiamo, ci raduniamo...
puoi contare su di me e sulla mia benevolenza, so aspettare, so andare, so tornare.