...curioso nel mondo!!!


...curioso nel mondo!!!

I gatti sono curiosi, sornioni, saggi e liberi.



La ricerca continua del filo conduttore del significante

mi porta ad infilare i baffoni in molti luoghi interessanti...







domenica 24 maggio 2020

100 giorni e Nulla sarà come prima


Nulla sarà come prima, si sente dire da mesi.
Sì perché nel frattempo sono passati mesi.
Tre mesi, cosa vuoi che siano tre mesi, quasi 100 giorni.
Quanti giorni sono passati senza che li contassi, senza che li percepissi, senza che li onorassi, senza che…
So per certo, lo ricordo bene, di aver passato altri gruppi di 100 giorni che mi hanno rivoltato come un calzino, e ricordo anche che dopo quei 100 giorni nulla è tornato come prima, un salto nell’altrove…
Questi 100 giorni sono significativi per me e nel contempo lo sono anche per altri milioni di milioni di persone.
Interessante!
Drammaticamente interessante, sorprendentemente interessante, curiosamente interessante.
Drammaticamente perché ognuno ha perso qualcosa, ognuno ha dovuto vivere un lutto più o meno grande, più o meno profondo, ma ognuno ha dovuto lasciar andare qualcosa…
Sorprendentemente perché ogni giorno passato è stato inaspettato, ogni mattina affacciata alla finestra in ascolto del silenzio, in compagnia del canto degli uccelli e del silenzioso crescere dell’erba, 100 giorni alla finestra a guardare il cielo… e non mi sono sentita Mai sola, MAI... appartenente alla mia famiglia, stretta e allargata, legata al mio lavoro, alle persone che fanno parte del mio lavoro, appartenente a questa umanità fragile...
Curiosamente interessante perché nulla sarà come prima e… come sarà allora questo domani? Mi sento come una bambina davanti ad un regalo che non può aprire… non importa tanto il contenuto può piacere o meno, è l’attesa davanti a quel “non so cosa c’è dentro” questa vicenda che mi lascia curiosa e rivolta verso…
Verso il futuro… un futuro da costruire passo passo insieme ad altri, un cammino che ci accomuna tutti... non importa se i nostri sentieri si incroceranno ma il futuro è adesso ed è nuovo per tutti... come riusciremo a superare le inusitate lontananze, come riusciremo a tirare su il capo... a guardare il cielo che si è tinto di rosso in queste sere, che ci ha donato un arcobaleno di speranza nel crepuscolo...
Curiosa di ricostruire relazioni... piano piano... nuove nuove... e ringrazio il cielo di avermi donato la capacità di sperare sempre nella parte luminosa dell'Essere Umano. Grazie a chi cammina insieme a me.

mercoledì 20 maggio 2020

Lo sguardo si può


Un milione di pensieri e di argomenti, potrei scrivere di tutto e di più in questo 2020 così intenso.
Così tante che quando mi approccio al foglio per scrivere scende il silenzio, le sensazioni che affollano tutto il mio Essere si chetano e nasce l’ascolto.
Sì nasce l’ascolto di me, di chi mi è strettamente vicino, di chi mi è vicino a distanza, di chi non sa neanche chi sono ma sta attraversando questa mia stessa mareggiata tumultuosa.
Al di là dell’inquietudine di navigare in acque scure, dove non sai se aspettarti scogli o correnti favorevoli, al di là del timore di inciampare in qualche genuflessione altrui, al di là dello sgomento di accorgersi che è il tempo a creare facilmente abitudini a situazioni inaccettabili prima, al di là di tutto questo volevo gridare forte: LO SGUARDO SI PUO’!
Siamo entrati spaventati nella famigerata Fase 2 e nulla è sembrato cambiare, anche a causa di quelle abitudini condizionate dalla paura di cui parlavo prima, siamo usciti con circospezione come gatti acquattati che sgambettano veloci e attenti ad ogni rumore.
Siamo usciti bardati di tutto punto, resilienti con mascherine decorate, allegre, personalizzate, che proteggono solo te, che proteggono solo gli altri, che proteggono entrambi, che sono certificate dal santissimo organo planetario della garanzia di sicurezza di assenza di vita, che …
E oggi, mansueta e quasi ordinata, in fila per andare dall’Ortofrutticolo che vende verdura ancora saporita, guardavo, con infinita tristezza nel cuore, tutti questi umani con museruola, con la testa china, con l’orgoglio di essere adeguato, con l’ostentazione di essere “in sicurezza”, con l’affanno di respirare anidride carbonica, con fatica… tutti diversi e ci teniamo a distanza, tutti schivi.
Io sono una vera fanatica degli occhiali da sole, li ho sempre portati, anche in un giorno di pioggia luminoso porto gli occhiali da sole, ho proprio una sensibilità alla luce (oppure ho creato questa abitudine proprio portandoli sempre). Adesso quando sono in giro, con la museruola, non posso mettere anche gli occhiali da sole. Non posso.
Io lo cerco lo sguardo, io sorrido con gli occhi, ci provo… lo sguardo si può!
Vi prego usate lo sguardo, vi prego non schivate anche lo sguardo, non è necessario, cerchiamo solidarietà in questa tempesta comune, a nostra volta offriamola a chi incontriamo.
È così dura questa attraversata, per ognuno in modo diverso, che vorrei stringere tutti in un abbraccio rassicurante, dicendo piano: stai tranquilla, va tutto bene! Come dicevo alle mie bimbe piccole per una sbucciatura o un mal di pancia… passa.. passa…passa…passa
Con lo sguardo si può!

martedì 12 maggio 2020

I doni dell'Essere umano: l'Abbraccio


I doni dell’essere umano.
Cosa ci comprende in tutte le nostre parti: fisica, vitale, animica e spirituale?

L’abbraccio.

L’abbraccio è solo della specie uomo… quel particolare cingere, stringere, avvolgere, contenere, accogliere, scaldare, rincuorare, coccolare, cullare, proteggere, consolare, riconoscere, comprendere, curare, ascoltare… Amare!
Non è solo tenere o trattenere vicino a sé, è di più, è fondersi insieme seppur separati da un sottile strato di pelle, è risuonare e vibrare insieme.

L’abbraccio.

La casa dove sentirsi vivi, sicuri, conosciuti, accettati, il luogo dove incontrare contemporaneamente sé e l’altro.

L’abbraccio.

Il luogo dell’intimità, della fragilità, della tenerezza, della presenza, dello stare qui e ora.

L’abbraccio.

Ci ricorda che ci siamo mancati, che ci conosciamo, che ci vogliamo, che ci apparteniamo, che ci siamo l’uno per l’altro.

L’abbraccio.

Dove non possono entrare tutti, dove ci sono diversi livelli di contatto, dove la mia casa è la tua casa.

L’abbraccio.

Il tempo, il luogo, il movimento dell’Io e del Tu che diventano Noi!

Quanti abbracci ci perdiamo? Non adesso nell’emergenza, non nella distanza sociale di oggi…
Sempre… 
Quanti abbracci non hai dato? Mandiamolo adesso, almeno nel pensiero…

Un abbraccio a te che mi stai leggendo, a te che mi conosci, che mi vuoi bene, che mi hai condiviso…

Un abbraccio per regalarci un pezzo di umanità!

venerdì 1 maggio 2020

La migliore me possibile


Lieve come una piuma questa primavera, 
rigogliosa e danzante nel silenzio antropologico.

Uomini rinchiusi in piccole stanze, protetti dal nemico invisibile, di cui tu, mio prossimo, potresti essere il veicolo.
Giorni silenti anche se densamente rumorosi. 
Ogni istante è un presente vivo e vibrante. 
Gesti consueti ma con un nuovo sguardo di presenza: mi appresto a cucinare con il senso di faccenda da sbrigare, un passaggio tra un prima e un dopo, dalla mattina al pomeriggio o dal pomeriggio alla sera, una necessità fisiologica e psicologica. 
Oggi no, oggi si trasforma nell’attività, nel “fare ora” e cucinare diventa quel bell’atto creativo, alchemico… di metamorfosi di sostanze, profumate, colorate, fresche, croccanti.
La cucina è il laboratorio degli elementi, dove saggiamente si intrecciano acqua, aria, fuoco e terra (tutti gli ortaggi tutti).
Oggi posso continuare ad orchestrare il ritmo delle giornate attraverso il raduno intorno alla nostra  bella tavola rotonda e, anche, mi godo il rosso fuoco dei pomodori maturi, la liquidità compatta del cetriolo e quella succulenta del peperone crudo a filetti; mi godo il titinnare della forchetta che frulla nel piatto e lo sfrigolare di ratatouille di verdure e spezie; mi godo la mescolanza, l’impastare, il mondare e triturare.
Oggi posso giocare e godere di ciò che scelgo di fare.

Perché, ieri non potevo? 
Perché non avevo tempo? 
Il tempo dedicato è lo stesso…

È un tempo mentale dove si sceglie di presenziare. 
Quante volte non siamo presenti nelle nostre azioni, quante volte il nostro cervello sfarfuglia in mille pensieri, lontanissimi da quanto si sta compiendo?  Quante volte non siamo nel presente… 
ovvero Non Siamo!

Sottile la differenza tra ascetismo contemplativo e presenza in dinamica.

Essere presenti e nel contempo rivolgersi a tutti i futuri possibili, con serena fiducia… nel proprio discernimento.

Come è difficile per me narrare sensazioni di silenzio interiore, è un non senso nei termini, come si può narrare il silenzio…

è una condizione di presenza… 

perché già parlare, e ancor peggio scrivere, sposta un pochino: a volte indietro nella retrospettiva e a volte in avanti nel pensarsi riflesso nelle esperienze.

Il silenzio consente di vibrare all’unisono con il tempo dell’universo che è eterno e mobile come un profondo respiro.

Il silenzio è uno stato di armonia tra sé e il proprio cammino, bello o brutto che sia… perché quello che conta è come mi sento: 
sono la migliore me possibile?

No, mi sento di riconoscermi ancora distante, anche se mi sento di essere in cammino, di anelare in quella direzione, con tutte le mie forze e, purtroppo, anche con tutte le parti di me che possono ostacolare un così bel cammino.

Essere consapevoli di questo cammino, magari attraverso un percorso biografico, è un dono a se stessi, a volte con sacrificio, rendendo Sacro il cammino… a volte i sacrifici sono dolorosi, a volte sono un sollievo, a volte sono riconosciuti e lì nasce il silenzio, la vibrazione con il cosmo.


lunedì 27 aprile 2020

Alla Conquista...


Mi riapproprio lentamente del mio strumento catartico.
Una cara amica in questi giorni ha illuminato un quesito che mi tormentava da un paio d’anni: 
l’inaridimento del mio desiderio di scrivere.

Mi ha ricordato del valore catartico dello scrivere… 
e lì, si è accesa una luce dove risiedeva immota la risposta.

Due anni fa, l'essere stata testimone di mia madre, molto vicina alla morte mi ha messo in un cammino interiore di crescita, un cammino non fatto di pensiero e rielaborazione di senso, ma guadagnato attraverso le membra, nel nuoto, nella meditazione, un percorso silenzioso utile a sciogliere un nodo profondo del mio essere.
Un incantesimo si è spezzato, sono guarita da un dolore dell’anima che lenivo da sempre… 
e non ho più avuto bisogno della catarsi della scrittura: per identificarmi, per individualizzarmi, per autoriflettermi, per definirmi.

Un obiettivo raggiunto, autonomia referenziale, mi riconosco da sola. Caspita, a 50 anni, meglio che mai…

Ma credo di essere in buona compagnia… 
credo che ognuno di noi senta il bisogno di essere confermato dall’altro da sé, proprio là dove duole.

Perché è di questo che si parla, ci sono svariati campi per ognuno di noi dove ci sentiamo in pieno possesso dell’autonomia referenziale, dove ci si riconoscoe competenti, capaci, adeguati, soddisfatti. 
È dove duole, dove c'è sofferenza che si stenta ad essere autonomi e si chiedono conferme, si chiede ad altri (o altro) di colmare i propri vuoti… (che  possono essere colmati solo da se stessi).

Non dico di essere risolta, ma un nodo infernale si è sciolto.

Perché ho ripreso a scrivere allora? 
I fili si sono riintessuti, sto regredendo?

No sono di fronte ad un nuovo anelito legato alla scrittura, non quello di catarsi individuale, ma come strumento per avvicinarmi ai miei simili:  scrivere (come la parola, anzi la parola ancora meglio) è un veicolo che so guidare con una certa destrezza, e non che io sia così speciale da meritare attenzione particolare, al contrario...proprio per questo posso parlare di qualcosa di interessante, perché racconto del sentire, e può risuonare in qualcuno e portare risposte, o domande, o sollievo, o stizza, o … non importa,  quello che conta è entrare in contatto… e scrivere è un modo di farlo.

Questa la mia nuova conquista: riconoscermi capace di contatto umano vero.

Perché esserne capaci e riconoscersi di esserlo sono due cose diverse… 
grazie alla saggezza della vita che mi ha portato incontro prove per comprendermi, 
grazie alla mia mamma che si è lasciata guardare in momenti disumani,
grazie a Francesca che mi ha fatto risuonare la giusta parola, quella che mancava al mosaico… 
perché mi sbloccassi e avessi di nuovo voglia di raccontarmi e giocare con le parole.

E tu? 
Qual è la tua nuova conquista? Perché ognuno di noi è un eroe alla conquista del proprio Graal…

domenica 26 aprile 2020

Il disagio di oggi


Frastornata.


Questo domani che non viene mai. 
Difficile rinunciare ad uno sguardo prospettico, grata di vivere un presente felice, ma inebetita di fronte alla resa al qui e ora (hic et nunc).

Così frastornata che non ho niente da dire davvero, se non vecchie considerazioni impolverate del disagio di ieri, che non è quello di oggi, non so se si sommano (il disagio di ieri con quello di oggi), a volte sì, a volte si alternano, a volte…

Sconvolgente ed eccitante contemporaneamente costruire pensieri sistemici  basati sull’oggi, minuto per minuto. 

Non è mica una novità, almeno non dovrebbe… 
Nell’agire educativo sarebbe utile continuamente aggiornare il sistema di processi messi in campo per favorire l’apprendimento di una competenza, e non di un sapere. 
La competenza sta nel fare, il sapere sta nel possedere informazioni, lo scopo finale di un percorso educativo dovrebbe  essere di aver accompagnato un individuo a conoscersi consapevolmente quindi capace di intervento sul mondo con un pensiero che abbraccia gli insiemi, che non separa, ma che unisce.

Quindi sarebbe auspicabile un passaggio significativo nell’esperire, solo a posteriori  il passaggio nei saperi, nelle informazioni, favorendo la capacità del pensiero critico, rielaborando il tutto in una sintesi interiore (quindi appresa).

Ma come dicevo questi sono i disagi che i bambini incontravano ieri, qualora tempi e modi dell’apprendimento non fossero stati adattivi  al metodo di insegnamento proposto, si innescavano matriosche di lacune e svantaggi sul poter accedere alla conoscenza (di sé e del mondo).

Oggi il disagio è tutto nuovo, perché globale.  

E scoperchia un problema più antropologico che prettamente pedagogico, o meglio si intessono l’una disciplina con l’altra. 
Perché se nella storia antropologica dell’uomo avviene, è avvenuto, sta avvenendo un cambiamento, la Pedagogia ha l’investitura ad aggiornare immediatamente i propri punti di vista (sguardo e osservazione), di abbandonare all’istante i “vecchi” strumenti e abbozzarne immediatamente di nuovi, monitorandoli, aggiustandoli… perché la pedagogia è al servizio del sistema sociale: si apprende nella propria comunità d’appartenenza, nell'insieme di regole e valori che la caratterizzano. 
Oggi questa comunità da cui apprendere è globale.

Urca.
Mica una cosuccia da niente… questo è il disagio di oggi.

Primo passaggio: mettere in situazione (favorire l’incontro tra bambini, Subito, anche in numeri contingentati) e osservare cosa succede, come si adattano i bambini alla nuova situazione, dialogo con loro e cerco di scoprire quali sono stati gli apprendimenti esperienziali di questo stato d’emergenza globale.
Dopo che li ho guardati, ascoltati, sentiti, lasciati e ritrovati, dopo comincio a domandarmi di cosa hanno bisogno questi bambini che ho di fronte, come posso favorire al meglio la loro crescita, in questo momento.

Insomma una comunità educativa in quanto educante di per sé, dove è messo in primo piano il risultato qualitativo piuttosto che quantitativo, dove la scuola è luogo di confronto dei saperi ma anche luogo di socializzazione dove apprendere le competenze interpersonali.
 È giunto il momento che nel luogo preposto alla pedagogia (le scuole di ogni ordine e grado)  si apra un nuovo modo di elaborare processi di apprendimento perchè subordinati alla finalità, come prima e unica istanza possibile, 
di favorire IL CRESCERE 
come?  gioiosamente, rassicurando e proteggendo, valorizzando e accompagnando l’essere umano che ci è stato affidato come educatori.

Questo è il cambiamento che vorrei nel nostro sistema educativo

sabato 25 aprile 2020

Nessuna Distanza Sociale chiamiamola Cura Sociale


Continua a frullarmi nel cervello e mi indispettisco: distanza sociale.

Nefanda definizione di uno stato di salvaguardia biologica, ma l’integrità psicologica non è contemplata?
Sì perché solitamente il distanziamento sociale (coatto) avviene quando si è pericolosi per sé e per gli altri: a seconda della tipologia di comportamento disadattivo, l’intervento di distanziamento sociale è sanitario (gli psichiatrici) o penale (prigione, quindi punitivo).

Queste due sfumature del distanziamento sociale sono ataviche e questa è la ragione per la quale ci sentiamo un po’ in castigo, come se avessimo combinato qualcosa, come se ci fosse qualcosa che non va in noi, come se fosse responsabilità nostra…
Sottilmente e anche esplicitamente questo è il messaggio che è stato inviato massivamente.

Criminale, infame, irresponsabile perché vai a correre da solo e nella natura. Perché?

Non è il fatto in sé, si può resistere e rinunciare quasi a tutto…
Quello che sento è che non ci sia un’azione di corresponsabilità e fiducia, il governo si comporta come “il buon padre di famiglia” che con atteggiamento severo ci impone regole che non siamo ancora pronti a capire.
È un’arma a doppio taglio, anche perché comunque vada il “buon padre” se la cava dignitosamente, se i contagi aumentano è colpa degli sciagurati che non sanno stare fermi… e se va bene è grazie alle severe indicazioni paterne. 

Ma noi? 

Siamo abbastanza desti da non cadere nel tranello di guardare con sospetto il vicino, di creare distanze abissali nelle relazioni, nelle interazioni, nel palpitare della vita sociale.
Perché posso chiedere a un bambino di giocare: salutiamoci con i gomiti, inventiamo un ballo di incontro(ben distanziati), un richiamo tra amici con la voce, studiamo come è bello stare insieme, ad ogni costo…. lavorando la terra, giocando con lo sguardo, imparando a stare su di sè e nel contempo con l'altro.

Le indicazioni per programmare l'attività scolastica che parlino di questo: della cura delle relazioni, non di nozionismo, di ricerca di domande, non di risposte preconfezionate, di "fare sensato" non di astrazione concettuale. 

Non posso chiedere ad un bambino di aver paura del compagno, come possibile contaminatore... Commetto un delitto nei confronti dell’umanità e bisogna avere il coraggio di assumersi il rischio e giocare, con cautela giocare.
Nessuna distanza sociale – chiamiamola in un altro modo : 
chiamiamola cura sociale… 
per favore…

venerdì 24 aprile 2020

Inquietudini e vicinanze

OperosaMente
scatto mio
In questi giorni, dalle circostanze, dalle persone, dai ruoli, dai compiti, mi è richiesto uno sforzo di progettualità, di proiezione in avanti, ipotesi di futuro.

In questo momento non ho nessuna risposta, solo domande.
Domande aperte, senza risposte pre-costituite nella mia mente. 
Sono curiosa. 
Sono paziente, incredibilmente paziente.

Una forma di remissività, (finalmente?) che alla fin fine mi acquieta.

Sì perché sono sicuramente collocabile tra gli inquieti, dove molte giornate sono condite da domande antropologiche,  dove il senziente diventa strumento del cosciente. Ebbene, oggi, nell’isolamento sociale, invece di smaniare, mi sono quasi immediatamente arresa.

Non è nel mio potere cambiare quello che mi viene incontro, però posso assaporarlo e trarne esperienza, e dove la resistenza è dismessa, nulla angoscia, nulla crea timore, 
è    tutto    esattamente    come    deve    essere… 
e ad ognuno il suo. 
Una grande legge karmica che in questa era dove sarebbe auspicabile essere coscientemente anime e non solo egoità, siamo chiamati ad ascoltare. Comprendere sin dentro nelle membra che non possiamo che evolvere come umanità, ognuno deve fare il suo percorso e ognuno deve aspettare i compagni di viaggio rimasti indietro. 
Domani potrei essere io. Forse, anche, sono io, già oggi.

E l’esperienza che ci viene incontro è di isolamento sociale
- hei misuriamo bene le parole!
Non è isolamento o distanza sociale, bensì è distanza prossemica, una cautela biologica, non sociale. 
E’ una bella differenza. 
In virtù di questo forte pensiero cerco di scaldare questi freddi strumenti di comunicazione (piattaforme, telefoni, videochiamate), scaldarli per consentire di alimentare e curare una fiammella, curarla perché non si spenga, curare la relazione (perché la relazione senza il corpo è monca e quindi ne soffre…), curare il cambiamento perché posso creare ponti tra la persona che sarò e quella che sono stata.

Un tuffo guizzante nella mia essenza e riconoscermi simile agli altri.

Una sensazione che abbraccia profondamente ed allora si è colmi e non saturi (grazie Lucangeli), soddisfatti e nutriti.

Il buon senso mi direbbe di interrompere qui, ma l’inquietudine di cui parlavo mi spinge ad altre domande.
E se io non riuscissi a sentirmi colma? 
Quando mi capita di sentirmi satura sono una cattiva madre, una persona irrisolta, una persona instabile?

Perché questo è il vero nodo, arrendersi vuol dire anche accettarsi come si è, a tratti colmi e, ineluttabilmente, a tratti  anche saturi. Proprio in questa resa totale a se stessi può nascere lo spazio dell’impossibile, il proprio miracolo personale: improvvisamente accade di essere colmi e non saturi.

Non chiedo a me stessa di essere colma perché è sano, equilibrato e sensato. Ognuno fa quello che può. Ognuno risponde al proprio cuore, intrepido o tremante… che importa!

Quando saprò carezzarmi e accogliermi nelle mie piccole o grandi miserie, allora sì, accadrà di non sentirmi più invasa. 
Perché di questo stiamo parlando, quando mi sento satura, vuol dire che qualcosa mi ha invaso, è entrato senza che io volessi. 
Ci vuole un elevatissimo equilibrio per essere sempre aperti e non sentirsi mai invasi. Un equilibrio che credo sia proprio di pochi.

Mi sento di concedermi di essere in viaggio di avere un anelito di non stancarmi mai di cadere e rialzarmi e sbagliare e saper chiedere scusa e ringraziare e saltare di palo in frasca e non usare la punteggiatura perché è un flusso non è un pensiero è un sentire comunicato un farsi attraversare dalla bellezza della debolezza che ti mostra e ti commuove e ti muove ed ogni giorno  sei una nuova persona, (e qui la virgola ci vuole) migliore.
Quanto mi piace assecondare il pensiero che danza nei mondi possibili.
Questo mi colma sempre.

E a te che mi leggi.. cosa ti colma?

martedì 21 aprile 2020

Fiumi di Parole

Star of bethlehem

Fiumi di parole sono stati spesi, in questo periodo sciagurato, colpiti dalla più dura delle punizioni, non tanto dal famigerato Coronavirus, bensì con l’esilio sociale, colpiti intimamente nel nostro più sottile e perenne rispecchiamento.

Perché alla fin fine il mondo sociale, fin nelle sue più raffinate sfumature casuali, ci definisce totalmente. In ogni interazione umana, dalla più piccola, come quella con il proprio panettiere, fino alle più profonde, quelle della convivenza animica,  della famiglia, in ognuna di esse noi incrociamo fugacemente un piccolo riflesso, un frammento di noi stessi, tessere uniche e perfette nel definire il nostro mosaico personale, la nostra identità.

Siamo attori protagonisti nelle nostre esistenze, ma le quinte, il contesto, i ruoli, la scenografia, la colonna sonora della nostra esistenza è costituita dall’insieme (e non dalla somma) di tutte le succitate interazioni con gli altri umani.

E gli stessi attori della nostra storia sono, a loro volta, protagonisti delle loro storie, nelle loro personali identità, come soggetto primo.

Quante combinazioni, quanti fili che si tessono, quante storie che si intrecciano a costruire una connessione pulsante come un unico organismo vivente. 

Ognuno al suo posto, un posto per tutti.

Ebbene oggi siamo soli, nulla e nessuno ci rispecchia, ognuno è fra sé e sé e ci manca la storia, l’abito da indossare: chi sono io?

Questa domanda, la Domanda… che sfuggiamo profondamente, che riempiamo di oggetti posseduti, nuovi bisogni da rincorrere, faccende da sbrigare, pre- occupazioni… ovvero occupazioni per il prima… quale prima?

Il mio tempo, il tempo dello stare con me, qui esattamente dove sono.

E non importa in quanti viviamo sotto lo stesso tetto, è l’umanità che è sola in questo momento, sola ad ascoltare se stessa e il proprio battito vitale, perché di una cosa sono certa, in questi giorni inquieti mi capita sovente di assistere a dei veri miracoli: di solidarietà, di fratellanza, di empatia.

Sento, lo vedo, lo ascolto, basta un cenno perché gli altri, che si incrociano fugacemente e a distanza,  siano propensi alla relazione, al saluto, alla carezza, alla com-prensione
.
Fiumi di parole versate dalle migliaia di occhi asciutti che scelgono la scrittura per assaporare se stessi.

E c’è sempre, sempre,  un motivo per cui essere grati.

Halleluia