...curioso nel mondo!!!


...curioso nel mondo!!!

I gatti sono curiosi, sornioni, saggi e liberi.



La ricerca continua del filo conduttore del significante

mi porta ad infilare i baffoni in molti luoghi interessanti...







lunedì 25 marzo 2013

Il turno cucina



Una caratteristica  significativa (e molto simpatica) delle scuole Waldorf è la gestione, da parte dei genitori, di alcune attività legate alla “cura” della scuola stessa. In particolare mi riferisco alle pulizie e alla cucina. 
Ovviamente occuparsi della gestione direttamente abbatte (se non annulla) i costi organizzativi e questo per una scuola che si autosostenta economicamente è molto importante. Ma non è l’unica ragione: pulire la scuola, in termini pedagogici, offre al bambino quella “continuazione” tra casa e scuola, quell’impulso di cura che è proprio dell’ambiente domestico. In particolare per i bimbi della materna è molto importante riconoscere l’appartenenza, la coerenza e la continuità tra il suo “mondo” casalingo e la realtà esterna.
Oltre alle pulizie nella nostra scuola i genitori organizzano anche la mensa giornaliera. Nel tempo (aumentando i bambini e quindi i pasti) si è reso necessario avere una cuoca a tempo pieno che garantisse la presa in carico della gestione della dispensa, dei pasti e dei volontari. Infatti ogni giorno è presente un genitore a rotazione ad affiancare la cuoca.
Il turno cucina è davvero interessante: la maggioranza delle persone hanno attività lavorative slegate dalla ristorazione e si limitano ad organizzare e preparare pasti e pietanze per un ristretto numero di persone (la famiglia e qualche evento tra amici).
Beh ritrovarsi in una cucina che eroga circa 50/60 pasti offre una prospettiva del tutto diversa. 
A parte la necessità di dover fare la certificazione HCCP attraverso una formazione individuale con un esperto ogni due anni, il genitore di turno si ritrova a dover ragionare su quantità ignote, su elettrodomestici giganteschi e tempi ampliamente dilatati.
Le mie bimbe (e con loro tutti i compagnetti) vanno in visibilio quando sanno che mamma o papà sono in cucina, è un avvenimento che li riempie di orgoglio e felicità. Quindi ne vale sicuramente la pena nonostante la fatica (perché è più faticoso di quanto si possa immaginare) e vale la pena anche sacrificare quei sporadici giorni di ferie che mi tocca prendere per poter espletare a questo compito tanto atteso dalle piccine.
Comunque come stavo dicendo si entra in mondo di altre dimensioni.
Cosa c’è di più semplice di una bella insalata di finocchi? Semplice è un eufemismo, i finocchi richiedono una prima pulitura esterna, una sommaria suddivisione in spicchi, un lavaggio attento e scrupoloso per snidare la terra tra le foglie e, infine, la parte peggiore: tagliarli a fettine sottili. Avete una vaga idea di quanti finocchi ci vogliano per fare un’insalata per 50 persone? Beh l’altro giorno durante il mio turno cucina praticamente non sono riuscita a fare molto altro!!!! Decine e decine di finocchi da mondare, lavare, tagliuzzare e impiattare!!! 
Avevo la mano rossa e un pre callo dove impugnavo il coltello per affettarli. Raccontato così sembra solo un ingrato compito, ma lì, in cucina, è diverso. Oltre alle piacevoli chiacchiere con la nostra cuoca Veronica (anche lei mamma di due bimbi della scuola), immergersi così in un’attività pratica e viva (perché il cibo per i bimbi è qualcosa di estremamente vivo) porta ad una specie di meditazione, di concentrazione neutra che rilassa e nel contempo nutre. Eravamo io e i finocchi e il tempo non contava. È bello accarezzare le foglie fresche e sentire le venature carnose, far scrosciare l’acqua e stanare la terra resistente… In tutti i miei turni cucina ho percepito questa forza meditativa della cura del cibo. È bello accarezzare il cous cous per ungerlo con l’olio dentro un pentolone più grosso di un lavandino, è divertente fare “il soffritto” di cipolla perché occorrono numerose cipolle e lascio immaginare i pianti… spalmare, tagliuzzare, rimestare…. In grosse quantità in grandi dimensioni e queste grandezze ti portano nella pratica, nell’esercitare la volontà. Chiaramente c’è anche tutto il resto: preparare le stoviglie per tutte le classi (posate, bicchieri, piatti, cestino del pane etc), confezionare i piatti di portata e consegnare il tutto, pulire le enormi pentole nel lavandino (e pesano in modo indescrivibile), avviare circa 5/6 lavastoviglie, ritirare i piatti sporchi, lavarli, asciugarli, pulire la cucina… 
stravolta
insomma è un tuffo in un mondo profumato, colorato, manipolativo che ti spezza le gambe… alla fine di ogni turno cucina sono stremata ma felice: per tutto il giorno io e le piccine ci raccontiamo che cosa abbiamo mangiato, che sono arrivata proprio io a portare i piatti e soprattutto a domandarmi – quando vieni ancora mamma?-

sabato 23 marzo 2013

Come un'anatra nello stagno




Precipitevolissimevolmente sono nel dialogo!
Sono giorni intensi, giorni conditi da riunioni di gruppo, colloqui personali (sia lavorativi che non), conferenze, formazione e … Ogni giorno, più volte al giorno, mi ritrovo a dialogare, parlare, condurre, ascoltare, valutare, immaginare, ideare, pensare.
È quello che più amo ed è interessante vedere che il cosmo (a volte anche inaspettatamente) mi porti incontro questa esperienza in continuazione. Quello che è più incredibile (e difficile) è che succede in tutti gli ambiti della mia vita: al lavoro come mansione, con gli amici, nella scuola delle bambine, estemporaneamente… Ovviamente tutte le persone si ritrovano collocate in ambiti relazionali continui, in uno scambio confronto con l’altro, quello che sento e vedo in queste settimane è che ognuno di questi momenti relazionali mi richiede uno sforzo di presenza, di pensiero, di risposta, di adeguatezza e, quindi, diventa un’ attività che mi investe fortissimamente a livello energetico. In verità dormo poco ma non è questo che mi procura una grandissima stanchezza, ma è proprio il consumo di una “certa” energia, mi vien da dire un’energia attinta direttamente dalle mie forze eteriche. Lo posso anche valutare attraverso la fatica che colgo nella mia piccina. La piccolona è cresciuta, ha oltrepassato una soglia e comincia a “gestire” delle forze proprie. La micina piccola, invece, che non ha ancora compiuto i quattro anni, accusa questo mio utilizzo delle forze eteriche. Mi richiede in continuazione, è nervosa, spesso arrabbiata e vogliosa di coccole.
È un momento difficile per me, perché questo “dialogare presente” mi fa sentire al mio posto, come un’anatra nello stagno. Mi sento di vivere in un assoluto presente e di perseguire, infine, quello per cui sono nata. La nascita delle bambine mi ha dato una lunga pausa, avevo bisogno di ogni mia energia per loro. Ora sta arrivando qualcosa, mi sento richiamata dalla mia passione, dal mio talento e mi piacerebbe continuare così (anche se riconosco che questo svuota le mie energie). Mi domando quanto, tutto ciò, sia giusto per la mia piccolina. Mi domando se è giusto “sacrificare” l’integrità energetica dedicata a mia figlia per seguire la mia passione. Dovrei aspettare ancora? In verità la risposta razionale è Sì, l’avevo già pensato, in fondo fra un paio d’anni anche lei sarà sulla strada di un’autonomia dell’eterico… ma, come dicevo, questa è una decisione presa pragmaticamente. Quello che accade è che il mondo mi porta incontro altro. Succede che le mie esperienze siano condite di questa presenza, di questo sentire l’altro, di questo immergermi nel presente… e forse devo solo imparare a gestirmi meglio. Come sempre le mie figlie sono le mie maestre di vita. Forse questo lieve malessere del mio piccolo raggio di Sole vuole insegnarmi (semplicemente?) ad utilizzare “meglio” le mie energie. Forse devo capire che non è giusto in genere immergermi totalmente nella relazionalità ma dovrei imparare a creare una giusta (ovvero ritmica) alternanza tra entrate ed uscite energetiche. 
Insomma dovrei “darmi forma”, e questo vuol dire tante cose: smettere di fumare, dimagrire, riordinare con maggior sistematicità, fare sport … e sono sicura che infine “avanzerei” tempo (ed energie). È il momento di fare questo passo… in questo momento così particolare cosa porto con me? Cosa lascio?... e quindi buttarmi felice nello stagno a sguazzare ma nel contempo rimanere ancorata alla terra.

domenica 17 marzo 2013

La compagnia dell'ago: storie di amicizia e lana



Nevica! Una neve insulsa che, leggera e fitta, cade ininterrottamente da stamattina ma non attacca da nessuna parte! Meglio, non volevo certo ritrovarmi in un paesaggio invernale… siamo al 17 marzo, assaporavo la primavera… e guardo perplessa questo fenomeno strambo… abbastanza freddo per nevicare ma non abbastanza per attaccare? Insomma più freddo in cielo che in terra…

Quindi questa domenica striscia benevola e rilassata in famiglia, con le bimbe sornione che girano (quasi) silenziose, sonnellini rubacchiati sulle poltrone, rammendo e lietezza. Meno male perché è stata una settimana di tutt’altro tipo: ho rimbalzato da una riunione all’altra, da confronti e infinite chiacchierate a gruppi operosi e densi, fino ad arrivare a ieri che insieme a Simona siamo scappate a Milano. Abbiamo abbandonato i mariti con le bambine (anche lei ne ha due più o meno grandi come le mie) e ci siamo dedicate una giornata da sole!!! Caspita è il secondo sabato di fila che mi ritaglio uno spazio individuale… ecco perché nevica!!!!

 Abbiamo approfittato di un ordine di lana per il nostro laboratorio di cucito e lana (la compagnia dell’ago) del lunedì sera alla scuola delle nostre bimbe e soprattutto di un paio di biglietti di ingresso omaggio. Siamo partite di buon ora e ci siamo avventurate alla ricerca della fiera “hobby show Milano”. Eravamo curiose ed impazienti immaginandoci di incontrare materiali fantastici, 1000 nuove idee per i nostri lavori e tante novità. In verità la fiera è stata un po’ deludente, sarebbe stato più adatto a noi andare all’altra fiera “fa la cosa giusta”. La fiera sugli hobby non era molto “originale”. C’erano tantissimi stands sulle tendenze attuali: creazione e decorazione di torte con zucchero colorato e creazione di collane e bijoux. Quindi abbiamo incontrato innumerevoli proposte di tortiere di ogni forma e materiale, coloranti, formine, accessori come spatole, pennelli, salva cibi etc. e infiniti banconi stracolmi di perline, sassolini, gancini, ciondoli di colori e materiali un po’ scarsini (la maggioranza era plastica). 
Qui e là abbiamo incontrato anche qualcosa che ci interessava di più legato all’artigianato vero e proprio, dove abbiamo “sbirciato” qualche ideina, ma come dicevo alla fine eravamo un po’ deluse dalla fiera in sé che metteva insieme un’idea molto parziale, commerciale e stereotipata di hobby, mettendo contemporaneamente  anche chiassose dimostrazioni da palestra, Yoga, videogiochi e spettacolini tristi. 
Anche il corso “fast” di pittura dove alcune simpatiche signore, ordinate e distribuite in banchetti, seguivano pedissequamente un “maestro di pittura” con auricolare che somigliava tanto ai rivenditori di piatti dei mercati di paese. Era tutto preso a condurre le signore passo passo a disegnare la medesima cosa nello stesso modo (persino le sfumature)… credo che non segua un approccio espressivo e artistico della pittura… ma mera tecnica per ammaestramento!!!

Dopo aver sparato a zero sulla povera fiera però voglio raccontare “l’altra giornata” che ho trascorso insieme alla cara Simona, mi sono divertita un sacco. 
Eravamo buffe, siamo partite con grande determinazione ed organizzazione, si vedeva la nostra contentezza sotto i baffi, il solletico divertito di avere a disposizione qualche oretta tutta tra donne senza che qualcuno debba andare in bagno d’urgenza, senza lamentosi “mamma ho fame”, “mamma mi ha fatto male”, “mamma, mamma, mamma”. Qualche oretta in cui le esigenze erano solo individuali, in cui puoi camminare senza che nessuno ti si appenda al magione tirandoti, senza che il caldo, la sete, la stanchezza e la fame diventino “casi” adatti alla disperazione. Abbiamo chiacchierato, sghignazzato, spettegolato, girovagato liete e felici. 
La cara Simona, la  conosco già da qualche anno ormai… tante avventure insieme nella nostra scuolina, tanti giretti con le bimbe (in montagna, al mare, allo zoo, nei parchi cittadini) e mi ricordo di tante sue facce di mamma, di donna che ce la mette tutta con dolcezza e disponibilità, energica e sempre pronta a darti una mano, sorridente e ironica… una bella persona… una persona a cui mi affeziono ogni giorno di più, in cui tante esperienze insieme si dipingono sempre di più di intimità e complicità.

Abbiamo spulciato ogni possibile accessorio o attrezzo che potesse servire alla nostra attività di “cardatrici”, abbiamo fotografato qualche idea carina da riprodurre e buttato qualche occhiatina ad aitanti giovinotti (ridendocela a crepapelle), il momento più buffo è stato quando un simpatico ragazzotto ci ha interpellato chiamandoci mamma e figlia… (ridendo) l'ho rimproverato duramente.. ed era buffo, faceva una gran fatica a dirci quel che doveva, a metà tra l’imbarazzato e il divertito dalla mia reazione (come sempre abbastanza autoironica).

I momenti che mi sono piaciuti di più sono stati quelli dove è stato sollecitato l’olfatto: mi è successo due volte prima in una bancarella di tisane e poi in una di profumi esotici. 
È stato interessante come il profumo mi abbia colto ed abbracciato facendomi provare un desiderio remoto di essere in mille posti, di essere infinite persone, di incontro e scambio. Tutto questo attraverso questi odori intensi e mischiati che si mescolavano all’ambiente e al vociare… sono state sensazioni di un attimo ma interessanti, proprio perché si sono ripetute due volte a distanza di poco tempo.

Tralascio il racconto dell’orrore (mio e di Simona) in relazione a certe “offerte” per bambini con dimostrazioni di videogiochi virtuali che si impossessavano letteralmente dei bambini facendoli vibrare come poco prima di una crisi epilettica (ovviamente questa è solo la mia percezione ma SO di non sbagliarmi), vedere questi pargoli imprigionati dai video… ma dicevo che tralasciavo…

Il momento magico è stato raggiungere la bancarella “il vello d’oro” dove finalmente abbiamo potuto goderci lo spettacolo e allargarci il cuore: c’erano bellissimi oggetti (veramente artigianali) in lana cardata, gnometti, fatine, quadri, personaggi di fiabe, animaletti e, inoltre, materiali fantastici, naturali, grezzi… tutti da lavorare (non prestampati e presagomati). Io e  Simona eravamo agitate, non stavamo più nella pelle, sembravamo come certe donne all’apertura dei saldi davanti al negozio preferito… volevamo TUTTO!!! Abbiamo comprato un bel po’ di materiale per la scuola: materassini per cardare, aghi nuovi, lana, cordoncini… Finalmente abbiamo trovato una lana di qualità ad un prezzo accessibile. 
Ce ne siamo andate con il nostro saccone gigante stracolmo di materiale, con piccoli sacchettini di micro regalini, biglietti da visita e con tanta stanchezza nelle gambe. Ancora ghignose e soddisfatte ci siamo ritirate verso casa, stravolte ma contente sfogliando impazienti le nuove riviste… mi sono sentita come una ragazzina e sono felice di questa bella giornata con Simona!!! 
A casa ci aspettavano trepidanti le puzzoline e i mariti provati ma sorridenti… che bel sapore di amicizia, di iniziative, di percorsi per noi, per la nostra scuola e la bella “compagnia dell’ago” che cresce lemme lemme e, sono certa, farà molta strada….

mercoledì 13 marzo 2013

Yorsh l'ultimo elfo




Cristian ha letto tutta la saga di Silvana De mari già da un po’ di tempo e cerca sempre di convincere, entusiasta, le persone a leggerla. Come ho già detto altrove per me la lettura, nell’organizzazione spazio/temporale della mia vita, era diventato un lusso che faticavo a concedermi. Ultimamente, crescendo un po’ le piccine e sacrificando un po’ di sonno, sono rientrata nella buona abitudine di tuffarmi dentro a vicende narrate e mondi inventati. Quindi mi sono decisa ad intraprendere, finalmente per Cri, il viaggio nella saga della De mari. Aggiungerei che condivido abbastanza il gusto del Fantasy e ancor di più apprezzo le saghe perché prorogano il tempo dell’addio. Come ho già riportato in un altro post, attraverso la “voce” di Bastiano della Storia Infinita, provo sempre un sentimento di tristezza ed abbandono quando termina una storia narrata: lasciare i personaggi a cui mi sono affezionata accompagnandoli nelle loro vicissitudini, mi ha sempre dato una sensazione di perdita e rimpianto. Le saghe, quindi, mi consentono di approfondire la conoscenza con i personaggi e di assaporare i loro vissuti in diverse sfaccettature, protratte in tempi più lunghi, collocate in vari spazi.

Tornando all’ultimo libro letto, l’ultimo elfo è stata piacevole, scorreva velocemente, lasciando sempre quell’anelito a voler andar avanti per vedere come va a finire. È scritto bene con un linguaggio sufficientemente descrittivo e capace di pennellare delle atmosfere del sentire in modo empatico e condivisibile.
Quello che ho apprezzato meno è stata la sfumatura dell’umorismo un po’ troppo sempliciotto che accompagna tutta la narrazione. Prediligo un’ironia più sottile e meno buffa, qualcosa che fa sorridere più che ridere, invece nel libro, talvolta, i personaggi e le situazioni sono un po’ troppo ridicole in relazione al contesto (spesso un pochino drammatico).
La storia è interessante e invoglia l’approfondimento, lasciando il desiderio di continuare “a saperne” e quindi di leggere i libri successivi.
I momenti drammatici, le azioni, le descrizioni  e le sequenze narrative sono ben bilanciate, quindi nell’insieme è un gradevolissimo romanzo per ragazzi.
In particolare a me è piaciuta l’interpretazione “dell’essere elfo”, ovvero il suo modo di confrontarsi con la realtà: la contemporaneità del sentire all’unisono con gli altri esseri di yorsh è molto poetica e dolce. Lo si può trovare in tanti punti della narrazione, ad esempio quando descrive il “buio del sentire” quando cercava di collegarsi al sentire del  “fratello” putativo dopo che era morto. L’elfo conserva la speranza di rivederlo, che non sia vera la sua morte, ma in cuor suo sa che non ci sono speranze, proprio per quel vuoto,  per quel buio che sente (e non che pensa).
Un altro scorcio di questo modo d’essere degli elfi lo si trova nella sovente disperazione e prostrazione che prova di fronte al dolore altrui, alla morte e alla tristezza.
In modo magistrale, direi, è espresso nella prima parte dove l’elfo è piccolo (circa tre anni) e vaga solo nella pioggia, l’incontro con gli umani che lo salveranno è insieme dolce e sconcertante: il piccolo di elfo viene letteralmente attraversato dal sentire, i suoi sentimenti (di gioia o dolore) sono espressi con tutto il suo essere e la conseguente emanazione riesce anche a “contagiare” il sentire altrui. In questo passo si trova il concetto che più mi  è piaciuto e che vorrei portare sempre con me: la tristezza annega la magia!
Il piccolo porta con sé questo insegnamento della nonna, insieme alla lacerante nostalgia della mamma e del suo focolare. Come mamma sono rimasta un po’ infastidita da questo tema che ritorna in più punti (anche attraverso la casa degli orfani in un passo successivo). È rappresentato l’incubo di ogni mamma, è un terribile orrore l’idea di abbandonare la propria creatura morendo, ma peggio ancora è  il pensiero che il piccolo rimanga solo al mondo, non accolto, non amato, umiliato, affamato… un pensiero forte che è talmente ancestrale che il vederlo narrato in più punti e in situazioni diverse mi ha dato un sapore ridondante, eccessivo ( sempre per il mio gusto personale).
Il libro è intriso di pensieri magici, poesia, chiaroveggenza e solitudine. Credo che il tema principale di questo primo romanzo sia proprio la solitudine di ognuno, la non comunicabilità, il privilegiare il proprio bisogno prima dell’altra persona, per questo diventa necessario un mondo di orfani, perché per una madre il bisogno primario è sempre (quasi per tutte) il benessere del proprio figlio.
Un’altra parte che ho apprezzato meno è stata quella della descrizione del Giudice (il cattivo di turno). È stato rappresentato in modo troppo ridicolo e risalta un’enorme stupidità. Non mi piace neanche l’idea di dargli una lettura metaforica, perché purtroppo la crudeltà non è sempre legata alla stupidità, inoltre le persone non si fanno aggiogare dalla stupidità, bensì dalla paura, dal dolore… Anche gli altri cattivi del libro (i guardiani della casa degli orfani) sono estremamente stupidi. Certo l’elfo sottolinea come la nonna gli abbia sempre spiegato che gli uomini sono stupidi, in qualche modo indietro (evolutivamente parlando) ed è per questo che hanno sterminato gli elfi (questo concetto poi è chiaramente esplicitato dalla donna che lo porta in salvo rispondendo ad una domanda del piccolo).
Nell’insieme è molto bello leggere un’ipotesi di come l’uomo si sia allontanato dalla magia, dal sentire lo scorrere della vita altrui, sterminandolo lui stesso. Sarebbe un libro molto interessante da consigliare a tutti i vegetariani e vegani, perché l’elfo dichiara esplicitamente (e con orrore) che è impossibile mangiar qualcosa che abbia pensato... è un pensiero dolce e ben dipinto dalle piccole “resurrezioni” compiute dall’elfo. L’infinita pena che prova per l’animale morto (un coniglio, una gallina e persino un sorcio) lo conduce a ricercare gli ultimi odori e gli ultimi semplici pensieri dell’animaletto (legati comunque alla percezione) per rinfondere in loro il calore vitale. Operazione non possibile con un essere pensante più complesso come una persona. Ancora è bello trovare il sentimento dell’elfo in un passo dove per salvare sé e la sua amata è costretto ad uccidere un uomo. Il sentimento che lo tortura non è l’idea o il pensiero (astratti) dell’ignobile azione, ma il ricordo del vero e proprio sentire dell’altro nel momento della morte (il suo dolore, l’affollarsi dei ricordi della sua vita tutti in un momento). Certo che se noi riuscissimo a sentire in questo modo (cosa che credo sia nelle nostre capacità umane) non sarebbe più possibile nessun omicidio, nessuna nefandezza….  E credo che questo sia il sapore più bello che mi ha lasciato il libro: la capacità di descrivere in modo romanzesco un pensiero sul sentire reciproco, sull’appartenenza cosmica, sull’unità di ognuno in un’unica fratellanza. Spero che il prossimo libro “l’ultimo orco” sia all’altezza di questa atmosfera e non vedo l’ora di rincontrare Yorsh e Rosalba…