...curioso nel mondo!!!


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I gatti sono curiosi, sornioni, saggi e liberi.



La ricerca continua del filo conduttore del significante

mi porta ad infilare i baffoni in molti luoghi interessanti...







mercoledì 13 marzo 2013

Yorsh l'ultimo elfo




Cristian ha letto tutta la saga di Silvana De mari già da un po’ di tempo e cerca sempre di convincere, entusiasta, le persone a leggerla. Come ho già detto altrove per me la lettura, nell’organizzazione spazio/temporale della mia vita, era diventato un lusso che faticavo a concedermi. Ultimamente, crescendo un po’ le piccine e sacrificando un po’ di sonno, sono rientrata nella buona abitudine di tuffarmi dentro a vicende narrate e mondi inventati. Quindi mi sono decisa ad intraprendere, finalmente per Cri, il viaggio nella saga della De mari. Aggiungerei che condivido abbastanza il gusto del Fantasy e ancor di più apprezzo le saghe perché prorogano il tempo dell’addio. Come ho già riportato in un altro post, attraverso la “voce” di Bastiano della Storia Infinita, provo sempre un sentimento di tristezza ed abbandono quando termina una storia narrata: lasciare i personaggi a cui mi sono affezionata accompagnandoli nelle loro vicissitudini, mi ha sempre dato una sensazione di perdita e rimpianto. Le saghe, quindi, mi consentono di approfondire la conoscenza con i personaggi e di assaporare i loro vissuti in diverse sfaccettature, protratte in tempi più lunghi, collocate in vari spazi.

Tornando all’ultimo libro letto, l’ultimo elfo è stata piacevole, scorreva velocemente, lasciando sempre quell’anelito a voler andar avanti per vedere come va a finire. È scritto bene con un linguaggio sufficientemente descrittivo e capace di pennellare delle atmosfere del sentire in modo empatico e condivisibile.
Quello che ho apprezzato meno è stata la sfumatura dell’umorismo un po’ troppo sempliciotto che accompagna tutta la narrazione. Prediligo un’ironia più sottile e meno buffa, qualcosa che fa sorridere più che ridere, invece nel libro, talvolta, i personaggi e le situazioni sono un po’ troppo ridicole in relazione al contesto (spesso un pochino drammatico).
La storia è interessante e invoglia l’approfondimento, lasciando il desiderio di continuare “a saperne” e quindi di leggere i libri successivi.
I momenti drammatici, le azioni, le descrizioni  e le sequenze narrative sono ben bilanciate, quindi nell’insieme è un gradevolissimo romanzo per ragazzi.
In particolare a me è piaciuta l’interpretazione “dell’essere elfo”, ovvero il suo modo di confrontarsi con la realtà: la contemporaneità del sentire all’unisono con gli altri esseri di yorsh è molto poetica e dolce. Lo si può trovare in tanti punti della narrazione, ad esempio quando descrive il “buio del sentire” quando cercava di collegarsi al sentire del  “fratello” putativo dopo che era morto. L’elfo conserva la speranza di rivederlo, che non sia vera la sua morte, ma in cuor suo sa che non ci sono speranze, proprio per quel vuoto,  per quel buio che sente (e non che pensa).
Un altro scorcio di questo modo d’essere degli elfi lo si trova nella sovente disperazione e prostrazione che prova di fronte al dolore altrui, alla morte e alla tristezza.
In modo magistrale, direi, è espresso nella prima parte dove l’elfo è piccolo (circa tre anni) e vaga solo nella pioggia, l’incontro con gli umani che lo salveranno è insieme dolce e sconcertante: il piccolo di elfo viene letteralmente attraversato dal sentire, i suoi sentimenti (di gioia o dolore) sono espressi con tutto il suo essere e la conseguente emanazione riesce anche a “contagiare” il sentire altrui. In questo passo si trova il concetto che più mi  è piaciuto e che vorrei portare sempre con me: la tristezza annega la magia!
Il piccolo porta con sé questo insegnamento della nonna, insieme alla lacerante nostalgia della mamma e del suo focolare. Come mamma sono rimasta un po’ infastidita da questo tema che ritorna in più punti (anche attraverso la casa degli orfani in un passo successivo). È rappresentato l’incubo di ogni mamma, è un terribile orrore l’idea di abbandonare la propria creatura morendo, ma peggio ancora è  il pensiero che il piccolo rimanga solo al mondo, non accolto, non amato, umiliato, affamato… un pensiero forte che è talmente ancestrale che il vederlo narrato in più punti e in situazioni diverse mi ha dato un sapore ridondante, eccessivo ( sempre per il mio gusto personale).
Il libro è intriso di pensieri magici, poesia, chiaroveggenza e solitudine. Credo che il tema principale di questo primo romanzo sia proprio la solitudine di ognuno, la non comunicabilità, il privilegiare il proprio bisogno prima dell’altra persona, per questo diventa necessario un mondo di orfani, perché per una madre il bisogno primario è sempre (quasi per tutte) il benessere del proprio figlio.
Un’altra parte che ho apprezzato meno è stata quella della descrizione del Giudice (il cattivo di turno). È stato rappresentato in modo troppo ridicolo e risalta un’enorme stupidità. Non mi piace neanche l’idea di dargli una lettura metaforica, perché purtroppo la crudeltà non è sempre legata alla stupidità, inoltre le persone non si fanno aggiogare dalla stupidità, bensì dalla paura, dal dolore… Anche gli altri cattivi del libro (i guardiani della casa degli orfani) sono estremamente stupidi. Certo l’elfo sottolinea come la nonna gli abbia sempre spiegato che gli uomini sono stupidi, in qualche modo indietro (evolutivamente parlando) ed è per questo che hanno sterminato gli elfi (questo concetto poi è chiaramente esplicitato dalla donna che lo porta in salvo rispondendo ad una domanda del piccolo).
Nell’insieme è molto bello leggere un’ipotesi di come l’uomo si sia allontanato dalla magia, dal sentire lo scorrere della vita altrui, sterminandolo lui stesso. Sarebbe un libro molto interessante da consigliare a tutti i vegetariani e vegani, perché l’elfo dichiara esplicitamente (e con orrore) che è impossibile mangiar qualcosa che abbia pensato... è un pensiero dolce e ben dipinto dalle piccole “resurrezioni” compiute dall’elfo. L’infinita pena che prova per l’animale morto (un coniglio, una gallina e persino un sorcio) lo conduce a ricercare gli ultimi odori e gli ultimi semplici pensieri dell’animaletto (legati comunque alla percezione) per rinfondere in loro il calore vitale. Operazione non possibile con un essere pensante più complesso come una persona. Ancora è bello trovare il sentimento dell’elfo in un passo dove per salvare sé e la sua amata è costretto ad uccidere un uomo. Il sentimento che lo tortura non è l’idea o il pensiero (astratti) dell’ignobile azione, ma il ricordo del vero e proprio sentire dell’altro nel momento della morte (il suo dolore, l’affollarsi dei ricordi della sua vita tutti in un momento). Certo che se noi riuscissimo a sentire in questo modo (cosa che credo sia nelle nostre capacità umane) non sarebbe più possibile nessun omicidio, nessuna nefandezza….  E credo che questo sia il sapore più bello che mi ha lasciato il libro: la capacità di descrivere in modo romanzesco un pensiero sul sentire reciproco, sull’appartenenza cosmica, sull’unità di ognuno in un’unica fratellanza. Spero che il prossimo libro “l’ultimo orco” sia all’altezza di questa atmosfera e non vedo l’ora di rincontrare Yorsh e Rosalba…

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